La saturazione delle terapie intensive è uno dei parametri a cui si guarda con più preoccupazione in questa seconda ondata della pandemia, vista l'esperienza drammatica della prima. Le terapie intensive sono i reparti dove vengono portati i pazienti più critici, non solo quelli che hanno bisogno di essere intubati, ma quelli che devono essere monitorati costantemente e devono ricevere trattamenti e cure per mantenere stabili i parametri vitali. In Italia, al momento, di queste postazioni ne abbiamo 6628 e quelle occupate da pazienti Covid sono circa il 20% del totale, ancora al di sotto della soglia considerata critica del 30%. Mentre il contagio cammina velocemente, la permanenza in terapia intensiva rappresenta uno dei parametri più significativi per capire quanti posti è ipotizzabile che siano occupati contemporaneamente e quanti via via tornano disponibili per guarigione o, purtroppo, decesso. Secondo un recente rapporto dell'Istituto Superiore di Sanità, nel caso dei pazienti deceduti, il tempo medio di permanenza in terapia intensiva è sotto i 12 giorni. Nel Veneto, ha riportato il governatore Zaia, la degenza media di tutti i pazienti in questi reparti sembra scesa dalle due settimane della prima fase della pandemia ai 6, 9 giorni di oggi. In Italia, purtroppo, non abbiamo dati sufficienti per capire quanti pazienti entrino ogni giorno in terapia intensiva e quanti ne escano. L'unica informazione riguarda il saldo giornaliero che tra il 15 e il 26 ottobre ha portato a un raddoppio dei posti occupati: da 586 a 1284. Se la dinamica dei contagi resta esponenziale, i numeri non possono che salire, ma, se il tasso di crescita dovesse stabilizzarsi, è possibile che anche nelle terapie intensive si arrivi a un tetto massimo. Un dato proveniente dalla Spagna, colpita molto prima di noi della seconda ondata, fa riflettere. Tra il 9 e il 23 ottobre a Madrid si sono registrati 30 mila nuovi casi, ma nello stesso periodo il numero dei ricoveri in terapia intensiva è aumentato solo di 4 unità.