"Torniamo a curarci" è lo slogan di una campagna di Cittadinanza attiva, partita a ottobre, che nella giornata mondiale della lotta al cancro assume particolare valenza. La pandemia ha allontanato i cittadini dalle cure mediche per paura del contagio da covid e a volte anche per una cattiva organizzazione della sanità. L'associazione italiana di oncologia medica, ad esempio, parla di un drastico calo degli screening, oltre due milioni in meno nei primi nove mesi del 2020, con la conseguente riduzione delle nuove diagnosi dei tumori e rischio, dunque, di una futura maggiore mortalità e più spese sanitarie. Dato che accomuna peraltro tutti gli Stati europei, dove è l'OMS a lanciare un allarme sugli effetti catastrofici del coronavirus sul trattamento del cancro. In Italia, però, incoraggiano i dati sulla sopravvivenza alla malattia, con almeno un paziente su quattro, quasi un milione di persone, che grazie alle terapie è guarito lo scorso anno in un Paese dove, come ricorda il ministro Speranza, l'aspettativa di vita è più alta della media degli altri in Europa. Ma l'impatto della pandemia è molto più generalizzato e riguarda la fiducia stessa dei cittadini verso i loro medici. Cittadinanza Attiva ha fornito una fotografia proprio della medicina territoriale attraverso un migliaio di questionari rivolti a medici e pediatri, da cui emerge da un lato il tentativo non sempre riuscito di rinnovarsi e riorganizzarsi, dall'altro una distanza tra medico e paziente, appunto, non sufficientemente colmata dei mezzi informatici. Incide infatti l'età in molti casi avanzata degli stessi pazienti, non avvezzi all'uso del web, e talvolta una pessima copertura della rete internet. Unica novità che sembra mettere d'accordo tutti è la diffusione della ricetta dematerializzata. Per il resto, la strada da fare per rassicurare la cittadinanza e riportarla a scegliere di incontrare il proprio medico e sottoporsi alle cure necessarie, sembra ancora lunga.