Il divieto di export da parte dell'India sancisce a mio avviso un salto di qualità sul fronte del protezionismo delle materie prime a cui in realtà noi già stiamo assistendo dallo scoppio della pandemia. Il game changer, il cambio di paradigma, del comparto delle materie prime è iniziato con lo scoppio della pandemia e poi si è ulteriormente aggravato con lo scoppio della guerra. In questo contesto in cui il mercato lo fanno i produttori e non i consumatori, ed è questo il motivo, apro e chiudo parentesi, per cui anche le proposte di cap sul prezzo sono da capire bene come verranno implementate, chi ha la materia prima fondamentalmente se la tiene stretta, sia per un discorso di approvvigionamento ma sia anche per un discorso di cercare di calmierare l'inflazione che, come sappiamo, sta crescendo in maniera impetuosa in tutto il mondo. Ora il problema qual è? È che l'India era invece il Paese su cui la filiera mondiale del frumento contava per allentare il deficit. E quindi il fatto che oggi l'India da cui dipende il 40% dell'export mondiale di grano decida di restringere le esportazioni acuisce ulteriormente la carenza sul mercato e può provocare anche degli effetti sia di emulazione, quindi da parte di altri Paesi in particolare i produttori di riso, e sia poi può fondamentalmente trasferire in altri Paesi le tensioni sociali. Perché la crisi, le famose primavere arabe del 2011 furono una conseguenza di una restrizione sull'export che sempre l'India, insieme al Vietnam, implementò nel 2008.