Giganti senza tasse, la web tax al G7 di Bari

09 mag 2017
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Un po’ di tasselli sparsi sul tavolo. Nessuna idea concreta, per ora, del quadro da comporre. La web tax, la tassazione sulle multinazionali di internet e dell’hi-tech, è ancora allo stadio embrionale. Pochissimi Paesi, quasi tutti di tradizione giuridica anglosassone, Gran Bretagna e India in primis, hanno tentato una normativa sulla materia, ma soprattutto bisogna trovare una strada comune a livello sovranazionale per evitare il meccanismo assai in voga di vendere servizi e prodotti nel Paese A per poi far figurare fittiziamente quasi tutto il fatturato in un Paese B a tassazione agevolata, quando non un vero e proprio paradiso fiscale. È lo schema che consente a colossi globali, come Apple, Google o Amazon, di pagare imposte ben più basse di quanto accada alle imprese tradizionali. Il recente accordo dell’Agenzia delle entrate con Google, che porterà nelle casse italiane 306 milioni di euro, ha riacceso il dibattito. Nel G7 dei Ministri finanziari, in programma nei prossimi giorni a Bari, si cerca, quindi, un fronte comune, quantomeno politico, per spingere l’OCSE, l’organizzazione dei trentacinque Paesi più sviluppati, a presentare proposte concrete in occasione del suo prossimo rapporto sull’economia digitale, in agenda nel marzo 2018. Il punto cardine delle proposte che circolano verte sulla presenza di una stabile organizzazione nel Paese in cui vengono venduti servizi e prodotti, non sempre agevole da identificare, perché i giganti del digitale possono fare affari miliardari in un Paese anche senza impiantare strutture fisiche e senza creare posti di lavoro. Alcuni suggeriscono dei parametri oggettivi. Più di 500 transazioni e un incasso di almeno 1 milione di euro al semestre sarebbero, per alcuni esperti, indizi sufficienti a dedurre l’esistenza di una struttura organizzativa stabile sul territorio nazionale, parametri quantitativi da affiancare, eventualmente, ad altri, mentre l’Agenzia delle entrate propone di ampliare la collaborazione con i giganti del settore, creando, a prescindere dalla dimostrazione della stabile organizzazione, un sistema di accordi preventivi di tassazione tra lo Stato e le società digitali.

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