In Italia la famiglia è tutto o quasi, anche in affari. La maggior parte delle aziende italiane è infatti di proprietà di una famiglia che la tramanda di generazione in generazione. Anche escludendo le ditte individuali e quelle con pochissimi dipendenti ben l'86% delle aziende vede al vertice una proprietà familiare. Un dato che, in realtà, non si discosta più di tanto del resto dei grandi Paesi europei. Ma è guardando al management, cioè a chi l'impresa la gestisce ogni giorno, che spicca la particolarità italiana: due terzi delle aziende sono infatti amministrate completamente da membri della famiglia proprietaria, spesso dividendo i ruoli tra genitori e figli. Mentre all'estero questo è un caso decisamente meno comune. In Germania e Francia sono meno del 30%, nel Regno Unito una su dieci. Sono differenze che arrivano da lontano, dal nostro background culturale e perfino religioso. E non è un caso quindi che se chiudessimo in una stanza due economisti a studiare il problema, probabilmente ne uscirebbero con tre teorie diverse. Secondo diversi studi, riassunti da una ricerca di Banca d'Italia, le aziende a conduzione familiare tendono a preferire la fedeltà alla competenza nella selezione dei propri manager, con un impatto anche sulla produttività. Queste imprese investirebbero il 14,4% in meno in innovazione. Ma non tutti sono d'accordo, secondo altri esperti le imprese familiari reinvestono i profitti in modo più responsabile reimmettendoli nell'azienda. D'altronde se l'impresa è una questione di famiglia si evitano scelte troppo rischiose da parte dei manager o che questi la utilizzino come trampolino di lancio. A meno che al momento della successione tra gli eredi non affiorino invidie o addirittura cause legali. A quel punto l'efficienza dell'impresa diventerebbe l'ultimo dei problemi.