Prima, per cercare lavoro, c'era il curriculum. Ora ci sono curriculum e social. Una parola arcaica, latina, e una moderna, inglese, per le ricerche dei selezionatori italiani. Secondo uno studio di Adecco, la maggiore agenzia per il lavoro del nostro Paese, oltre la metà dei recruiter non si accontenta più del curriculum vitae, ma attinge informazioni dai profili personali dei candidati sul web. Per l'esattezza si fa influenzare negativamente da post, foto, commenti su internet e colui che aspira al contratto rischia di perdere la chance. Oggi il 51% dei ricercatori dichiara di aver cambiato idea in negativo dopo un controllo sui social, tendenza in netto aumento, tanto che la stessa ricerca 3 anni fa dava un 31% scarso e 10 anni fa aveva dato come risultato il 12%. Se è abbastanza ovvio, infatti, che si cerchino informazioni professionali su Linkedin, il social nato proprio per condividere dati ed esperienze di lavoro, il 96% dei recruiter lo utilizza, ora la ricerca si è ampliata e soprattutto è il tipo di controllo che ha cambiato pelle, si prova a intuire la personalità del candidato da foto, post e commenti lasciati anche sugli altri social. Ecco perché foto ritenute inappropriate o commenti dal sapore discriminatorio possono pesare e ormai pesano più delle esperienze lavorative elencate in un curriculum. La realtà digitale, che siamo abituati a pensare virtuale, ha sempre più incidenza sulla vita reale di cui è ormai parte integrante e può costare opportunità di lavoro.