Sarà per lo stile anticonformista, il celebre maglione nero che era il suo marchio di fabbrica, la totale dedizione al lavoro, che lo portava a fare avanti e indietro tra Torino e Detroit, anche nella stessa settimana o il fatto di essere a capo della più grande industria privata italiana ma Sergio Marchionne è stato uno dei pochi veri manager di livello mondiale che l’Italia ha avuto. Nato in Abruzzo da famiglia modesta, ha un’infanzia segnata da un trasferimento oltreoceano, in Canada, dove va quando ha appena 14 anni. Lì studia, si laurea in filosofia, comincia la carriera come commercialista, per poi arrivare nell’olimpo della finanza tornando in Europa, in Svizzera. Di lì a diventare l’uomo di fiducia degli Agnelli, su designazione di Umberto poco prima che il fratello dell’Avvocato venisse a mancare, il passo è stato breve. Ruvido, di un importante imprenditore della moda che lo criticava, una volta, disse: “Con quello che spende lui in ricerca e sviluppo io non ci faccio neanche un parafango”. Ma anche capace di gesti intimi, come quando scrisse a mano una lettera alla figlia di un reporter che lo seguiva sempre, per chiederle scusa perchè aveva rovinato il capodanno a lei e al papà: aveva appena annunciato la fusione Fiat-Chrysler. No: di manager così, oggi, non ne fanno più tanti. .