Il 1° agosto potrebbe essere una data spartiacque per il futuro dello smart working nel nostro Paese, almeno per come i più l'hanno conosciuto fino ad ora. Se il Governo prolungherà lo stato di emergenza, aziende e lavoratori potranno continuare ad avvalersi dello smart working come hanno fatto negli ultimi mesi, altrimenti sarà necessario mettere degli accordi nero su bianco. Quello che abbiamo conosciuto nei mesi dell'emergenza Covid, più che uno smart working vero e proprio è stato un lavoro di emergenza in cui non sono stati definiti, per esempio, gli orari di lavoro, quando un lavoratore abbia diritto a disconnettersi, né come debba essere valutata la sua produttività. Per capire quali siano i vantaggi e gli svantaggi di questa modalità di lavoro che durante l'emergenza ha coinvolto quasi 2 milioni di lavoratori, dobbiamo riferirci a studi fatti precedentemente su esperienze ben organizzate. Si parla di un incremento della produttività del 15%, di una riduzione del tasso di assenteismo del 20% e di un risparmio del 30% dei costi di gestione degli spazi fisici, ma per i lavoratori non è tutto oro quello che luccica. Sebbene il vantaggio di non doversi recare sul luogo di lavoro sia innegabile, in termini di tempo, l'organizzazione della vita privata, secondo il rapporto Istat del 2020, il 40% di chi lavora da casa dichiara di essere stato contattato, fuori dall'orario di lavoro, da superiori e colleghi almeno 3 volte nei 2 mesi precedenti l'indagine e in più del 20% dei casi viene chiesto loro di dare risposte tempestive, anche se fuori dall'orario di lavoro. C'è poi il tema delle ricadute economiche sulle attività commerciali. In questo periodo la chiusura di aziende e uffici ha pesato soprattutto su: negozi, ristoranti e tassisti che nelle grandi città hanno visto una riduzione drastica dei consumi, per i soli ristoranti Confesercenti stima una perdita di 250 milioni di euro al mese, il 35% in meno degli incassi.