Storie di imprese, Diadora e la svolta sostenibile

12 feb 2020
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“Una sera mia figlia mi dice: “Si usa la pelle di canguro per fare le scarpe?” Dico sì. “Ma perché bisogna usarla?” E' questa la domanda, non perché l'avete tolta, ma perché era necessario usarla.” E, in effetti, la Diadora è stata la prima azienda a togliere la pelle di canguro dalle scarpe da calcio. “Abbiamo deciso che il nostro percorso di sostenibilità non era compatibile con questo genere di materiale.” Un passato glorioso, quello di questo marchio italiano, legato al nome dei grandi campioni dello sport negli anni '70 e '80.” “Lo stivaletto indossato da Ayrton Senna. Quando se le facevano modificare, le facevano in maniera che la scarpa parlasse a loro e parlasse di loro.” Poi un periodo buio, l'azienda è al fallimento con i libri in tribunale. Nel 2009 il cambio di proprietà e il rilancio. Si ricomincia con i campioni, ma anche con le star dello spettacolo e si punta sulla sostenibilità. “La sostenibilità è un percorso, non è un punto d'arrivo.” Togliere la appelli di canguro dalle scarpe è stato solo un passo in questo percorso, cosi come usare per le scatole la carta fatta con le alghe in eccesso della laguna di Venezia o scegliere di usare solo cotone certificato Gots per le t-shirt, un marchio che garantisce la sostenibilità del prodotto lungo tutta la filiera, sia da un punto di vista ambientale che del rispetto delle condizioni di lavoro. “Qui abbiamo l'orso polare, il leone, il gorilla, il lupo con la sua ecopelliccia. Sono 4 tra i più rappresentativi animali in via di estinzione.” Ogni scarpa è dedicata a un animale e parte del ricavato di questa collezione sarà devoluta a un progetto di educazione alla sostenibilità del Parco Natura Viva di Bussolengo, centro per la conservazione delle specie a rischio di estinzione. La collezione dedicata agli animali fa parte di quella produzione più artigianale che Diadora ha deciso di ricominciare a fare in Italia, riaprendo il vecchio stabilimento e tornando a far funzionare le macchine che si usavano negli anni '80. “Abbiamo riassunto delle persone che, storicamente, lavoravano a questa arte, che è realizzare una calzatura, ma non solo, ci sono anche dei giovani che vogliono imparare questo mestiere e questo ci permette anche di rinnovare il know-how di Montebelluna, del nostro distretto, che è uno dei centri principali al mondo per la realizzazione delle calzature sportive.” Anche questo è sostenibilità, salvaguardare il sapere delle maestranze del territorio messo a rischio dalla delocalizzazione degli anni passati. “Non possiamo al momento dire “Ahimè, non ho nessun impatto” ma migliorare si può sempre. E' un cambiamento che deve essere responsabile, deve rispettare anche le persone e, perché no, deve essere competitivo perché la sostenibilità è un plus nella competizione sul mercato.”.

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