Il passaggio è formale, l'effetto è sostanziale. Dopo quattro anni quasi esatti dalla sospensione per la pandemia, le regole europee sui bilanci statali, fondamentali perché fissano i paletti da cui dipende la spesa che ciascun governo potrà fare, tornano in campo. Non sono più le stesse. Il nuovo patto di stabilità e crescita è infatti diverso da quello pre-Covid ma si fonda sugli stessi principi. La scelta e compromesso di fondo è stata: mantenere i pilastri di Maastricht, debito sotto il 60% del PIL, deficit entro il 3%, adeguandolo però meglio che in passato alle esigenze dei singoli paesi. Vestiti cuciti su misura, insomma, invece di una divisa rigida uguale per tutti. E la Commissione nel ruolo di sarto che prende le misure dopo colloqui coi singoli governi. Più flessibilità dunque per evitare che la cura si trasformi in austerità, bloccando investimenti e rallentando la crescita ma con una serie di verifiche passo dopo passo. Per i paesi che viaggiano fuori dai paletti partiranno dei piani di rientro concordati con Bruxelles. Piani di quattro anni, allungabili di altri tre in cambio di riforme e investimenti. I paesi più rigorosi hanno ottenuto che per gli stati più indebitati, come l'Italia, il deficit dovrà scendere anche sotto il 3%, arrivare all'1,5% allo scopo di avere il maggiore spazio di manovra, leggasi possibilità di spendere soldi che non ci sono, in caso di crisi improvvisa. I paesi più attenti alla crescita invece hanno ottenuto che da questi conteggi vengano escluse le maggiori spese per gli interessi sul debito pubblico per i primi 3 anni, e anche gli investimenti nei settori digitale, clima e difesa.