Per anni una minaccia aggravata sulla manovra d'autunno. La possibilità di un aumento dell'IVA se non si fossero trovati i soldi per far quadrare i conti pubblici. Uno degli effetti della pandemia è stata la decisione di eliminare per sempre quella sorta di spada di Damocle, conosciuta come clausola di salvaguardia. D'ora in poi nella manovra economica non bisognerà più stanziare risorse per evitare che l'imposta che grava sui consumi, aumenti. Adesso addirittura spunta l'ipotesi di tagliarla. Una novità salutata positivamente dalle associazioni dei commercianti. A patto, però, sottolinea Confcommercio, che non sia eccessivamente provvisoria. Ad esempio la Germania ha abbassato per sei mesi le due aliquote, ordinaria e ridotta, un intervento da 20 miliardi di euro. Abbassare l'IVA significherebbe far scendere il prezzo di molti prodotti nel tentativo di rilanciare i consumi, gelati dal lungo lock down. È a rischio anche nel futuro, considerato che molti italiani hanno visto precipitare il proprio reddito. Il problema, come al solito sono le risorse. L'IVA, infatti, garantisce un gettito di oltre 130 miliardi all'anno, copre più di un quarto delle entrate fiscali totali e vale quasi l'8% del Pil. Secondo alcune stime, per un taglio che sia efficace, servirebbero circa 10 miliardi anche se il costo ovviamente dipende da quali aliquote si decide di tagliare, dalla misura e dalla durata della riduzione. Il dato di fatto dal quale partire è che oggi tagliare l'IVA di un punto su tutte le aliquote esistenti costerebbe 7 miliardi e mezzo, ma bisognerebbe poi vedere se una riduzione del genere sarebbe sufficiente a rilanciare veramente i consumi.