L’ultimo appello lo aveva fatto venerdì sera, la zia Sara: “Mandate preghiere e cento profondi respiri al nostro guerriero”, aveva scritto sulla pagina Facebook dell’esercito di Alfie. Un messaggio come tanti altri scritti negli ultimi mesi sulla bacheca del gruppo che rappresenta il cuore della solidarietà alla famiglia, ma questa volta il piccolo non ce l’ha fatta. “Alle 2.30 della notte – scrive la mamma Kate – ha messo le ali”. “Il mio gladiatore ha posato lo scudo – racconta il papà Thomas – abbiamo il cuore spezzato. Grazie a tutti per il supporto”. Se ne è andato così, Alfie, nella notte, dopo aver lottato per cinque lunghi giorni dopo il distacco dai macchinari. Se n’è andato pochi giorni prima del suo secondo compleanno, prima di poter tornare a casa, come sperava la famiglia, ma circondato dai suoi cari nel reparto di terapia intensiva dell’Alder Hey Hospital di Liverpool e circondato dalle preghiere e dall’affetto di migliaia di persone in tutto il mondo. “È stato un viaggio devastante per loro. Vogliamo esprimere la nostra vicinanza e le nostre condoglianze dal profondo del cuore in questo momento di estrema angoscia”, recita una nota dell’ospedale, al centro di un braccio di ferro legale durato mesi, oggetto di minacce on-line senza precedenti, come denunciato dalla dirigenza, teatro al suo esterno di un presidio pacifico, tranne che in un’occasione. Appassionato, blu e viola come i colori scelti per riconoscersi, a cui si mischiano il tricolore italiano e il bianco e rosso della bandiera polacca, i due paesi maggiormente coinvolti. Bandiere e palloncini, candele, pelouche e biglietti in queste ore si moltiplicano, tanto che l’ospedale, su consiglio della polizia, ha attrezzato un’area dell’adiacente Springfield Park. Impossibile contenere tutto nello spiazzo antistante la struttura, com’è stato fino ad oggi. Un tributo silenzioso, ma non per questo meno potente.