In Cina e a Hong Kong le autorità nei giorni scorsi hanno arrestato o messo sotto sorveglianza diversi dissidenti. Lo hanno fatto sapere organizzazioni locali per i diritti umani. A preoccupare il governo cinese è il 35esimo anniversario del massacro di Piazza Tienanmen a Pechino. Era il 4 giugno del 1989 quando l'esercito cinese sparò sui manifestanti, mettendo fine nella tragedia a quasi dieci giorni di proteste democratiche, pacifiche, guidate dagli studenti. Ancora oggi, il bilancio di quella strage resta incerto e drammatico, dalle centinaia alle migliaia di morti. I fermi di queste ore hanno coinvolto membri delle organizzazioni delle famiglie delle vittime, avvocati per i diritti umani, leader di movimenti studenteschi. Ogni anno, il regime cinese rafforza controlli e sicurezza con l'avvicinarsi di questa data e vieta ogni tipo di evento e manifestazione. Su Piazza Tienanmen il governo ha imposto nei decenni il silenzio della censura e dell'oblio. Nulla può emergere sui social media, sulle pagine dei giornali controllati dallo Stato. Il solo riferimento a immagini come la celebre fotografia dell'uomo che sbarra la strada a quattro carri armati, la busta della spesa in mano, innesca l'immediata reazione delle autorità. Fino a pochi anni fa, la ribelle Hong Kong preservava il dovere della commemorazione, ogni anno si teneva il 4 giugno una manifestazione in memoria delle vittime. Dal 2020, però, la legge sulla sicurezza nazionale imposta dalle autorità cinesi dopo la repressione delle proteste pro-democrazia e anti-Pechino del 2019 ha messo fine a quello spazio di memoria e dissenso. Gli arresti delle ultime ore hanno toccato anche diversi attivisti locali. Così, mentre la Cina intensifica i controlli, il ricordo delle proteste del 1989 è consegnato alle molte commemorazioni organizzate in giro per il mondo, da Londra a Tokyo, passando per New York è Taipei.























