All'arrivo all'aeroporto di Jedda, Bashar Al Assad giustamente è sorridente; è, in via ufficiale, la fine del suo esilio diplomatico durato ben 12 anni, dal momento in cui la Lega Araba lo espulse in seguito della guerra civile che ha dilagnato il suo paese. L'Arabia Saudita che presiede il vertice, infatti, ha deciso che Assad pur con tutte le problematiche che comporta, poteva essere riammesso al consenso internazionale. Il ritorno della Siria non significa che i suoi problemi siano risolti ha spiegato, come se ce ne fosse bisogno Abdou Gheit, presidente della Lega Araba. La Siria ha accettato che il suo ritorno nella Lega sia parte della soluzione. Può darsi, ma per una volta l'occidente compatto ha condannato la decisione. Oggi la Siria è ancora un disastro dal punto di vista politico umanitario e Assad, dato per spacciato all'inizio della rivolta, è invece ancora in sella ad un paese che ha deciso deliberatamente di fare collassare pur di mantenere il suo potere. E per ottenere questo risultato si è trasformato in un vassallo della Russia che lo ha appoggiato militarmente, insieme all'Iran e la Turchia, ha rinunciato al controllo nel nord del paese dove ancora si trovano le truppe di Ankara, ha permesso la devastazione di gioielli come Palmira ed Aleppo e lo sterminio sistematico della sua popolazione. Le riserve occidentali sono comprensibili: un personaggio spietato come Assad dovrebbe mandare almeno segnali di un qualche genere di ravvedimento per essere accettato di nuovo nel consesso internazionale, ma il presidente siriano non sembra disposto a fare alcun tipo di concessione neanche aperture verso la risoluzione del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede un processo di conciliazione che porti a nuove elezioni. Del resto, l'occidente è troppo impegnato nel conflitto russo-ucraino per poter dedicare attenzione e risorse a quel catino ribollente di tensione che è il Medio Oriente da cui vengono invece segnali sempre più preoccupanti.