Era negli accordi: l’esercito iracheno sarebbe entrato per primo a Mosul. I soldati di Baghdad, infatti, devono lavare l’onta di ventotto mesi fa, quando l’Isis, quasi senza combattere, prese la città. Tra chi combatte i jihadisti, questo accordo è stato sancito anche per altre ragioni ben più pratiche. I curdi, che avanzano da nord, preferiscono restare nel loro territorio. I paramilitari sciiti spaventano la popolazione. L’esercito iracheno invece può trovare sostegno almeno in una parte degli abitanti di Mosul. E ce ne sarà bisogno. Per ora, grazie anche al supporto aereo della coalizione a guida americana, e grazie al sostegno dell’artiglieria francese, l’ingresso dell’esercito iracheno da est non ha trovato particolare resistenza, anzi, è stato preso il controllo dell’edificio della tv di Stato. Non è facile avanzare. I jihadisti dell’Isis hanno lasciato molte trappole, ordigni nascosti, blocchi di cemento, per rallentare l’inevitabile. Così appare infatti la sconfitta militare per l’autoproclamato Stato islamico, vista la differenza di armamenti e di uomini in campo. Meno chiaro è invece il destino dei civili di Mosul, vittime di esecuzioni sommarie, usati come scudi umani, colpiti dal cielo. Per dare un’idea di cosa succedendo, un numero fra tutti, diffuso oggi dal portavoce della coalizione: dall’inizio dell’offensiva, sedici giorni fa, i cacciabombardieri alleati hanno sganciato 3.000 bombe sulla città.