La tensione è alle stelle nella cosiddetta Giungla di Calais. La più grande bidonville di Francia ha le ore contate e gli scontri tra migranti e polizia sono all’ordine del giorno. Le 6.400 persone che ancora vivono qui, principalmente afgani, sudanesi ed eritrei, saranno ricollocate in 280 centri di accoglienza sparsi per tutto il Paese, Corsica esclusa. Per quasi tutti significa la fine del sogno, di poter raggiungere la Gran Bretagna, la terra promessa verso cui per mesi hanno cercato un passaggio con ogni mezzo, anche quelli più illeciti. Ma è anche la fine di una vita vissuta in modo disumano, tra degrado, sporcizia, violenze e abusi. “Ce ne andremo. Non abbiamo alcun problema ad andarcene. Meglio così” ci dice questo ventottenne del Sudan, arrivato qui un paio di mesi fa. Il problema è soprattutto per i 1.300 minori, in buona parte senza familiari. La loro situazione richiederà più tempo per essere gestita con la Gran Bretagna che solo da pochi giorni ha cominciato ad accettare i primi ricongiungimenti di circa 200 minori con i familiari già oltremanica. Tra poche ore a ciascun migrante saranno proposte due regioni tra cui scegliere. Poi cominceranno le partenze dei pullman, almeno sessanta nella sola prima giornata. L’obiettivo è quello di chiudere le operazioni in tre giorni. Non è affatto detto che ci si riesca. Una delle incognite è costituita dalle possibili manifestazioni di protesta dei cosiddetti No Borders. È per questo che qui sono arrivati 3.000 agenti delle forze di sicurezza francesi, per mettere in sicurezza un’operazione che viene definita dai media nazionali come la più imponente nella storia di questo Paese dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi.