Caso Huawei, Meng resta agli arresti domiciliari

28 mag 2020
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La richiesta di estradizione, nei confronti di Meng Wanzhou, figlia del padre fondatore dell'impero Huawei, Ren Zhengfei, arrestata in Canada nel dicembre 2018, su richiesta degli Stati Uniti, e accusata di frode bancaria è ricevibile, risulta cioè compatibile con i requisiti che regolano la legge per l'estradizione canadese, il più importante dei quali è che il reato di cui si è accusati sia tale in entrambi i Paesi. La tesi della difesa, secondo la quale le dichiarazioni mendaci della signora Meng, erano state rese solo per aggirare il sistema delle sanzioni contro l'Iran, sanzioni che il Canada non riconosce, non è stata accolta dal giudice del primo esame. Mentire è mentire, nel diritto non esiste la bugia a fin di bene. Che si proceda, dunque, ed è giusto che sia così. In Canada, la separazione dei poteri, lo ha ripetuto più volte in questi giorni il giovane premier Trudeau, è sancita e garantita dalla Costituzione, non può essere oggetto di scambi o accordi politici sottobanco. E poi, parliamoci chiaro, la signora Meng può tranquillamente permettersi di restare in Canada, dove dispone di dorate residenze ed è sottoposta a un regime di libertà condizionata per tutto il tempo necessario, probabilmente anni, ad istruire e celebrare il processo, ammesso poi che nel frattempo, proprio gli USA, non trovino una soluzione politica che il Canada oggi non ha voluto e potuto prendere. Peccato che dall'altra parte dell'oceano, in un Paese dove di certo non valgono gli stessi principi di diritto, siano rinchiusi in cella, oramai da oltre 500 giorni, due giovani canadesi Michael Kovrig e Michael Spavor, entrambi fermati sotto la vaga accusa di spionaggio pochi giorni dopo l'arresto della signora Meng e, ad oggi, ancora in attesa di giudizio. Chi li conosce sa che non possono essere spie. Nessuno, nemmeno in Canada, li può definire ostaggi di una guerra per procura, di fatto – però – lo sono, visto che la magistratura in Cina non è certo indipendente dal potere politico. Quanto a diritti degli imputati, la Cina ha ancora molto da imparare: carcerazione preventiva illimitata, diritti della difesa compressi o inesistenti, azione penale discrezionale, se non arbitraria. Proprio in questi giorni, il congresso del popolo ha approvato il primo Codice Civile, tra l'altro, con il contributo di alcuni studiosi italiani. Forse è il caso di accelerare anche la riforma in quello penale.

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