Quando i contagi accertati, nonostante i tamponi, siano rari diventano 6mila 650 e le vittime 335. Ed è dopo un weekend di sole, che visto i britannici disertare le strade, piene di pub chiusi, ma riversarsi in massa in mercati all'aperto e parchi che Boris Johnson getta il cuore oltre l'ostacolo. L'inversione a “U” era già avvenuta, i passi preparatori c'erano stati tutti. Ora, anche l'ultimo miglio è stato percorso. Il Regno Unito va, come l'Italia, due settimane fa, in lockdown. “State a casa”, ora, non è più un invito come 7 giorni fa, ora è un obbligo. Si potrà uscire soltanto per lavoro, fare la spesa, porta a spasso il cane, fare esercizio o prestare assistenza. Chiusi tutti gli esercizi commerciali non essenziali, parchi aperti, ma in parte, vietate le riunioni in pubblico di più di due persone, sospesi gli eventi sociali come i battesimi e matrimoni, eccetto i funerali. Molte denunce per i trasgressori, a vigilare è la Polizia. L'Esercito, che pure aveva messo 20 mila uomini in stato di massima allerta, ad ora non viene coinvolto. Misure dure, draconiane, che nessuno vorrebbe annunciare nelle sue parole, e che verranno riviste tre 3 settimane. “Speriamo di poter allentare” dice Johnson, ma sa, e lo sottolinea, che la strada è tutta in salita, che altre vite verranno sacrificate in questa lotta contro una minaccia che definisce silenziosa, ma non per questo meno letale. È serio, definitivo il Primo Ministro, sceglie ancora una volta una retorica epica, così in linea con i suoi concittadini, per chiamare in causa ogni singolo britannico. “In questa battaglia – dice – ognuno di noi è direttamente in gioco, ognuno di noi è obbligato a fermare il contagio, proteggere il Servizio Sanitario Nazionale, salvare molte vite”. Per poi concludere: “Il coronavirus può essere e sarà sconfitto, ma dobbiamo agire insieme, dando prova di uno sforzo nazionale eroico e compatto”.