Questioni geografiche, di clima, di abitudini sociali, di età o di condizioni genetiche. Perché la pandemia semina morti in Italia e negli Stati Uniti e sembra risparmiare altre zone del mondo? Il rompicapo dura da tempo e sono centinaia gli studi che cercano di capire il comportamento del virus, ma senza risposte. Un esempio eclatante arriva da qui, da questa zona di confine in Medio Oriente. Destini separati da pochi chilometri di terra, eppure in Iran si registra il più esteso focolaio di questa area, con fosse comuni e sepolture di massa, in Iraq solo pochi contagi e un numero limitato di morti. Paesi con la stessa cultura e lo stesso clima potrebbero trovarsi in situazioni molto diverse, anche a causa di cerimonie religiose o pellegrinaggi, potenziali occasioni di contagio di massa. Emblematico è il caso della Repubblica Domenicana, che conta 7600 casi, contro gli 85 della vicina Haiti. E nemmeno la grande densità di popolazione delle metropoli spiega anche solo in parte il fenomeno, perché se è vero che New York, Parigi, Londra e Milano sono state devastate dal virus, lo stesso non è avvenuto in città popolose e dal complicato distanziamento sociale come Bangkok, Baghdad, Nuova Delhi e Lagos. Molte nazioni in via di sviluppo con climi caldi e popolazione giovane hanno evitato il peggio, ma che questi possano essere fattori mitiganti resta soltanto un'altra ipotesi suggestiva, non supportata dalla scienza. L'Ecuador, con una popolazione giovanissima, piange 7 mila morti. Neppure le politiche di distanziamento forniscono una risposta univoca: Myanmar e Cambogia, senza averle attuate, contano pochi contagi. Numerose teorie, troppi dubbi e altrettante smentite. Ma c'è un'ulteriore ipotesi sostenuta da alcuni scienziati: il virus nei paesi fino ad oggi considerati fuori dall'emergenza potrebbe soltanto non essere ancora arrivato.