Non pronuncia parole di circostanza, non fa sconti ad un'Europa sempre unita negli appelli, ma spesso divisa nelle decisioni. Non concede alcuna ambiguità tra la condanna a Putin e il sostegno all'Ucraina. Il debutto del Draghi premier al Parlamento Europeo avviene mentre l'Unione affronta una delle crisi più drammatiche della sua storia, una crisi che è insieme umanitaria, securitaria, energetica, economica e che segue la più grave emergenza sanitaria degli ultimi 100 anni. Basterebbe questa descrizione per capire che questa volta non si può semplicemente aspettare e neppure possono esserci dubbi sulla responsabilità di quanto sta accadendo. "In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. Vogliamo che l'Ucraina resti un Paese libero, democratico, sovrano. Proteggere l'Ucraina vuol dire proteggere noi stessi, vuol dire proteggere il progetto di sicurezza e democrazia che abbiamo costruito insieme negli ultimi 70 anni". Di fronte ad un quadro del genere non si può tentennare, neanche nella ricerca di una tregua che può garantire lo spazio per la ricerca di un accordo. Se per il Covid ci si mosse uniti, altrettanto bisogna fare per la guerra e per le sue conseguenze. Nessuno Stato da solo può sostenere il peso di questa crisi economica ed energetica. L'Italia lo reclama, così come reclama un tetto al prezzo del gas, un modello economico e sociale più giusto e più sostenibile, in poche parole aggiornare l'Unione, anche cambiando e riscrivendo le regole. "Se ciò richiede l'inizio di un percorso che porterà alla revisione dei trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia". La stessa fiducia con cui bisogna guardare ad una difesa comune e all'inclusione di quei Paesi che vogliono condividere i nostri valori, Ucraina in primis.