I nostri corpi, le nostre vite, i nostri diritti. É lo slogan scelto quest'anno per celebrare la giornata mondiale contro l'omobitransfobia, istituita nel 2004 nel giorno in cui nel 1990 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha eliminato l'omosessualità dalla lista delle psicopatologie. Un passo che ha aperto, seppur con difficoltà, la strada in questi 32 anni al riconoscimento dei diritti delle persone LGBTQ. Ma se, in alcuni paesi, ci si può sposare, adottare, avere i bambini, in altri, l'omosessualità è considerata un reato. In 71 Paesi nel mondo e in 43 di questi anche tra donne. In Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi, Somalia, Mauritania, Yemen è prevista la pena di morte. Pena di morte che presa in considerazione in Afghanistan, dal ritorno dei talebani, in Iraq, Nigeria, Maldive Qatar e territori palestinesi. Piccoli passi avanti sono stati fatti in Botswana, Sudan e Butan che l'hanno depenalizzata. E l'Europa è il primo continente dove non è reato in nessun paese, ma è alto il tasso di omofobia che si registra in diversi stati in particolare dell'est Europa. Negli Stati Uniti, fino al 2003, era considerato un reato in ben 14 stati. Riconoscimenti legali che non hanno frenato l'aumento in alcuni casi degli episodi di violenza e discriminazione nei confronti delle persone omosessuali bisessuali e trans. Ed è per questo che, in diversi paesi nel mondo, è stato riconosciuto il reato di omobitransfobia. Un passo che l'Italia non è riuscita a compiere dopo la bocciatura del DDL Zan.