Sono passati quasi 40 anni dai giochi di guerra che al cinema fecero scoprire al mondo i pericoli dei computer. Allora gli Stati Uniti erano l'avanguardia della tecnologia e chi l'avrebbe mai detto che i ruoli si sarebbero invertiti? Non c'è bisogno di mettere le mani dentro i silos nucleari per far danni, l'ultimo clamoroso caso di attacco hacker all'America ha colpito la società JBS il più grande produttore mondiale di carne, costretto a sospendere la produzione degli stabilimenti e statunitensi e canadesi perché i suoi computer erano stati infettati da un software pirata. Non si sa se l'azienda abbia pagato un riscatto per liberarli e la situazione è rientrata tutto sommato rapidamente ma ben lungi dal significare che qui si sia rischiato di restare senza hamburger è evidente che l'America abbia un gigantesco problema di sicurezza informatica. Appena tre settimane fa era stato sequestrato il più importante oleodotto del paese per giorni i prezzi della benzina erano saliti e il carburante era praticamente finito su metà della costa est, Washington compresa. Alla fine per tornare operativa la società aveva dovuto sborsare agli hacker oltre 4 milioni. Prima ancora lo scorso anno era venuta a galla la più grande infiltrazione informatica della storia, i computer di mezzo governo americano penetrati tramite una falla in un popolarissimo software, per non parlare degli accertati tentativi di interferire addirittura con le elezioni presidenziali di novembre. Per tutti questi attacchi gli indizi puntano sempre solo in un unico posto: la Russia, già sanzionata dall'amministrazione Biden. Non si sa quanto sia effettivamente coinvolto il governo di Mosca o quanto sia invece colpa di bande di criminali informatici che in Russia fanno base. Il Cremlino ovviamente dice di non saperne nulla, alla Casa Bianca, altrettanto ovviamente, non ci credono neanche un po' per questo il Presidente non vede l'ora di parlarne a quattrocchi con Putin al vertice di Ginevra a metà mese.