Non solo crudeltà, non solo un atto dimostrativo, ma anche un chiaro messaggio agli annunci di nuove mobilitazioni, diventate quotidiane dal 16 settembre, giorno della morte di Mahsa Amini. Dopo la demolizione dell'abitazione della famiglia della scalatrice Elnaz Rekabi, accusata di aver gareggiato senza velo a ottobre a Seul, l'Iran annuncia tolleranza zero verso le proteste previste dal 5 al 7 dicembre, Giornata, il 7, Nazionale degli Studenti Universitari nel Paese, studenti protagonisti delle rivolte. Secondo il Consiglio di Sicurezza sarebbero più di 200 le persone che hanno perso la vita, lo stesso Consiglio che ora minaccia una repressione totale. "Pet quanto riguarda i manifestanti, la Repubblica Islamica dell'Iran li ha trattati con la massima tolleranza", si legge in una nota, ma "il piano del nemico per il prosieguo delle rivolte e la pazienza strategica del sistema, ha causato gravi danni". Traduzione: le forze di polizia e di sicurezza, non permetteranno più, a quelli che definiscono facinorosi, sostenuti dalle agenzie di intelligence straniere, di mettere in pericolo la sicurezza pubblica. In tutto questo, il Parlamento iraniano e il Consiglio Supremo della Rivoluzione Culturale, stanno esaminando la questione dell'hijab, il velo islamico, che è obbligatorio per le donne e che è stato causa della morte di Masha Amini e simbolo delle proteste in suo onore. A dirlo è il Procuratore Generale del Paese, che ha promesso risultati rapidi, ma senza precisare come potrebbe essere cambiata la legge. Sul fronte diplomatico, intanto, gli Stati Uniti respingono le accuse di aver appoggiato e fomentato le proteste e sottolineano: "È una pagina scritta dal popolo iraniano, non a Washington o a Bruxelles. Il nostro ruolo è sostenere i diritti fondamentali degli iraniani e sanzionare chi compie abusi e violenze nel Paese.".