Dietro all’attentato contro l’oleodotto in Cirenaica c’è una cellula dell’Isis. Ad affermarlo i vertici militari dell’area, che fanno capo al generale Khalifa Haftar, principale oppositore del Governo di Tripoli. Del resto, questa zona della Libia fino a un anno fa era in mano allo Stato islamico, ed è dunque probabile che ci siano ancora jihadisti in azione. Haftar ha comunque inizialmente accusato i miliziani di Bengasi dell’attacco, ed è dunque necessario comprendere chi effettivamente abbia condotto a termine il sabotaggio. Un’azione, questa, che mina ulteriormente il precario equilibrio politico del Paese. Gli attentatori, secondo alcune testimonianze, sono arrivati a bordo di due pick-up, hanno piazzato l’esplosivo e sono poi rapidamente fuggiti. La deflagrazione è avvenuta dopo pochi minuti e ha causato un pesante incendio, con colonne di fumo visibili a distanza. La Waha, società di gestione dell’oleodotto, ha interrotto il pompaggio del greggio destinato al terminale di Al Sider, con un danno stimato di 90.000 barili al giorno. Ed immediate sono state le ripercussioni sul prezzo del greggio, salito sui mercati internazionali fino a 3 punti percentuali, tornando ai livelli di due anni e mezzo fa. Al Sider è inoltre vicino a un altro impianto strategico, quello di Ras Lanuf, principali strutture di lavorazione del petrolio. La Libia da luglio è tornata a produrre un milione di barili al giorno, un fattore fondamentale, questo, per la stabilità del Paese. E anche se l’interruzione di oggi sulla produzione internazionale ha contraccolpi modesti, un attentato di questa entità può però creare fenomeni di speculazione, proprio come quelli già registrati in Borsa.