Quanto sta accadendo in Libia assomiglia sempre più a quanto avviene in Siria da anni: una guerra per procura con diversi Paesi che sul campo giocano a fare i propri interessi mentre è in corso una guerra civile. Così come in Siria, anche qui diverse nazioni si sono disposte lungo due schieramenti, e in quello che è da molti considerato con espressione non felice “il nostro giardino di casa”, l’Italia ricopre ora un ruolo ambiguo, con i propri militari impiegati all'ospedale di Misurata, alleata chiave di Fayez al-Sarraj, ma al tempo stesso dialogante anche con il generale Khalifa Haftar, che da 8 mesi continua a cingere d'assedio Tripoli e che ora potrebbe essere davvero sul punto di espugnarla, grazie all'aiuto di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati, ai quali si è aggiunta, a far forse la differenza, la Russia. Il sostegno militare russo si traduce nella fornitura di armamenti di punta e di milizie di mercenari raggruppati sotto il marchio della Wagner, oltre che di forze speciali e di intelligence nascoste nell’ombra. Ma anche al-Sarraj, alla guida del Governo, riconosciuto ancora come legittimo dall’ONU, potrebbe al momento opportuno tirare fuori un asso dalla manica: Ankara. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, punta ad assumere un ruolo di maggiore importanza nel Mediterraneo e per farlo ha stretto un’alleanza marittima e militare con Sarraj. I due hanno siglato un accordo di cooperazione, già duramente contestato da Cipro e Grecia, che darebbe tra l’altro ad Ankara il via libera a perforazioni sulla piattaforma continentale di Tripoli, destabilizzando in questo modo l'intera fascia mediterranea orientale e meridionale, dall'Egeo al canale di Sicilia. Una minaccia non da poco per progetti energetici come il gasdotto EastMed, che vede coinvolta la nostra Edison. In questo contesto la diplomazia internazionale fa fatica a tenere il passo. Il prossimo appuntamento è fissato a Berlino per la seconda metà di gennaio, nel disperato tentativo di trovare ancora uno spazio per il dialogo. Intanto, però, rischiano di deteriorare i rapporti tra Russia e Turchia.