I negoziati sono saltati. Anzi no. Mohammed Deif è morto. E invece è vivo. Conferme, smentite, ripensamenti, disinformazione. In guerra la comunicazione è una delle armi più potenti, la sua mancanza uno degli strumenti più efficaci. Ed è una nebbia densa quella che circonda gli ultimi eventi del conflitto tra Israele e Hamas. L’ultimo interrogativo, in ordine di tempo, riguarda il destino dei negoziati per un cessate il fuoco. La parte palestinese avrebbe dichiarato di volerli interrompere, ma poi ha fatto un passo indietro. Insomma, emissari israeliani, americani, egiziani e qatarini proseguiranno a trattare per far tacere le armi e procedere a uno scambio di prigionieri, anche se su quest’ultimo punto grava l’incognita su quanti di loro siano ancora in vita. Certo a migliorare il clima non contribuiscono le esternazioni, non si sa quanto estemporanee, di Yair Netanyahu, figlio di Bibi, che da Miami ha lanciato bordate contro il Qatar accusandolo di essere uno sponsor del terrorismo “secondo solo all’Iran”. E mentre il mondo guarda con orrore le immagini dell’ultimo sanguinoso attacco condotto da Israele sull’area umanitaria di al Mawasi, la zona costiera di Khan Younis, costato la vita a 92 persone, e quelle dei successivi raid che hanno bersagliato una scola Unrwa a Nuseirat, dove hanno perso la vita donne e bambini. Su tutto questo aleggia il mistero sulla sorte di Mohamed al Marsi, vero nome di Mohamed al Deif, fondatore delle brigate Ezzedin al Qassam, l’ala militare di Hamas. Era lui l’obiettivo dell’operazione di al Mawasi, e le forze di sicurezza di Israele hanno sostenuto di averlo ucciso, salvo la successiva smentita, nonché il tragico annuncio che non sarebbe morto al Deif, ma sua moglie e un figlio di pochi mesi. Di al Deif, che in arabo significa “ospite”, per la sua abitudine di non avere un fissa dimora, si sapeva poco o nulla, neanche che fosse sposato. Lo Stato Ebraico lo accusa di essere uno dei principali organizzatori del 7 ottobre. Una lista di responsabili ormai interminabile, come purtroppo anche quella delle vittime palestinesi, che sfiorano le 39.000 unità.