C'è il calcio e c'è il resto, tutto il resto. In primis la condizione precaria di oltre 2 milioni di lavoratori migranti da Asia e Africa che costituiscono il 90% della forza lavoro dell'Emirato. In secondo luogo la questione dei diritti, negati non solo ai lavoratori, ma anche alle minoranze del Paese, alle donne, alla comunità lgbt. Non ha dubbi Riccardo Nuri, autore di un'acuta analisi nel libro "Qatar 22. Il Mondiale dello sfruttamento". Siamo di fronte al trionfo dello sport washing afferma Nurio, ovvero una strategia di pubbliche relazioni che utilizza eventi sportivi per sbiancare la propria immagine in temi di diritti umani. Sul fronte del lavoro il quadro è di lacrime e sangue, quello vero. Secondo un'inchiesta del quotidiano britannico The Guardian sarebbero oltre 6.500 i lavoratori immigrati morti nei cantieri realizzati per ospitare i Mondiali. Ma secondo le autorità di Doah le circostanze in cui i lavoratori hanno trovato la morte vengono quasi sempre ricondotte a cause naturali, mentre sui casi di suicidio non hanno nulla da dire. Cause naturali, già, come se non contassero nulla le condizioni di lavoro. Turni di oltre 12 ore a prescindere dalle alte temperature, impossibilità di assentarsi, e cabine di pochi metri quadri come abitazioni abitate da cinque o sei persone. Non solo, merita una sottolineatura anche il fatto che in Qatar non è mai stato abolito il sistema della kafala, che permette ai datori di lavoro di requisire i documenti dei lavoratori migranti e di esercitare su di loro un'autorità di stampo medioevale e forse è pure un eufemismo. Poi ci sono altri numeri, quelli sbandierati dai boss qatarioti. 8 stadi che ospiteranno circa 1,2 milioni tra tifosi, giornalisti, membri delle squadre, per un investimento pari a quasi 6 miliardi di euro. Massiccio è anche il lavoro per nascondere lo sporco sotto il tappeto, come le autorità reprimano la libertà di espressione, di stampa e di associazione, con le donne che subiscono discriminazioni, così come le persone appartenenti alla comunità lgbt. Restano in tal senso scolpite nella vergogna le parole pronunciate Khalid Salman, Ambasciatore della Coppa del Mondo del Qatar, che ha attribuito alle persone gay un danno per la mente. Da non sottovalutare anche il gravoso impatto ambientale del mondiale di calcio. Sette degli otto stadi saranno climatizzati, che non lo rendono sostenibile nel contesto del riscaldamento globale. Ma tutto questo secondo il numero uno della Fifa va ignorato. Ipocrite le critiche al Mondiale, noi europei non possiamo dare lezioni morali, quindi bisogna pensare solo al pallone, scrive Gianni Infantino. Non è così Presidente, l'Europa può dare lezioni, deve dare lezioni, perché si può dare un calcio al pallone non prendere a calci la libertà.























