I 5.000 ostaggi di Boko Haram sono tornati in libertà. Donne, anziani e bambini, prigionieri sulla catena montuosa del Mandara, al confine tra Camerun e Nigeria. La conferma della liberazione dalle autorità del Camerun dopo una settimana di combattimenti e l’assalto finale al covo dei jihadisti ad opera della Multinational Joint Task Force, un dispositivo militare voluto dall’Unione Africana nel 2015 che vede corpi speciali nigeriani, ciadiani, nigerini, beniniani e camerunensi impegnati in un’operazione di law enforcement e antiterrorismo nella regione del Lago Ciad. Almeno ventuno i combattenti di Boko Haram arrestati. È stato distrutto un deposito di armi e sequestrati diversi mezzi di trasporto. Un duro colpo per la formazione che, dall’inizio dell’offensiva della Multinational Joint Task Force, ha perso gran parte del territorio conquistato dal 2009, anno in cui Boko Haram ha dichiarato di voler istaurare nella regione del Lago Ciad un califfato. La formazione è in lento declino, complice una lotta interna per la leadership, con un ramo che vorrebbe affiliarsi all’Isis e l’altro che ribadisce la sua autonomia da Daesh. In declino, ma ancora pericolosissima. Mentre i soldati delle cinque nazioni liberavano gli ostaggi nella città nigeriana di Maiduguri, quattro giovani donne sono state usate come kamikaze e hanno fatto morti e feriti. Tra i 5.000 liberati ora in Camerun si spera ci siano anche le giovani rapite nel 2014 da una scuola del villaggio nigeriano di Chibok, scatenando l’orrore in tutto il mondo. Rapite e costrette a matrimoni e martiri dal gruppo. Si stima che almeno 200 di loro siano ancora in ostaggio.