Pechino avvisa su possibile default della Evergrande

23 set 2021
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Possibile tempesta, le autorità regolatorie del mercato cinese, hanno già avvisato i Governi locali di prepararsi a una crisi del colosso Evergrande. Insomma, dopo settimane in cui si rincorrevano voci su un possibile intervento statale a sostegno della società immobiliare, in grave crisi di liquidità, è arrivata la risposta. Pechino già riluttante, ha chiarito che non intende intervenire buttare soldi nel colossale buco nero che si è aperto nelle casse della società. Sempre con la sua comunicazione felpata però i funzionari cinesi hanno fornito indicazioni sul da farsi. Le agenzie governative locali e le imprese statali coinvolte, sono state incaricate di intervenire solo nel caso in cui Evergrande non riuscisse a gestire i propri affari in modo ordinato. Insomma, tradotto in parole semplici, lo Stato non vuole che Evergrande diventi una nuova Lehman Brothers. I numeri del potenziale disastro, del resto, sono immensi, Evergrande fa parte del Global 500, cioè è una delle società con il fatturato più alto al mondo, quotata a Hong Kong, ha circa 200mila dipendenti, indirettamente genera lavoro per più di 3,8 milioni di persone all'anno. Ha interessi dal calcio la costruzione di parchi tematici, cibo, bevande e vetture elettriche. Insomma, un colosso ma con i piedi di argilla a causa di un debito enorme provocato da troppi investimenti, in troppi settori e troppo diversi. Ed è per questo motivo che oggi l'Evergrande ha accumulato debiti per oltre 300 miliardi di dollari, i dubbi sulle conseguenze catastrofiche che potrebbe avere sui mercati mondiali sono legittimi e fondati. Anche se per ora le borse sembrano aver accolto con favore quanto fatto trapelare da Pechino. Come sempre, l'impegno a che la società non si trasformI in un buco nero da misurarsi con la realtà dei fatti e su come evitarlo, la Cina non brilla per trasparenza. Per ora ai mercati è bastato e tant'è, ma non è bastato ai lavoratori e ai piccoli investitori, che hanno inscenato diverse proteste perché la priorità, per Pechino, ma non solo, è salvare le banche.

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