Un primo importante risultato è stato raggiunto, un passo sulla strada della giustizia per Mahsa Amini. La famiglia della 22enne morta mentre era in custodia della polizia per la morale iraniana, perché portava il velo in modo definito un non appropriato, ha denunciato gli autori dell'arresto della figlia. Mentre le proteste continuano e si portano dietro altre violenze e da circa due settimane contagiano il mondo. Le vittime della repressione governativa nella repubblica islamica sono già diverse decine, quasi 3000 gli arresti, ma le donne restano in piazza per ribadire che quel velo che oggi brucia deve essere una scelta e non un imposizione e per farlo si tagliano i capelli e scendono in piazza. Dall'Argentina alla Siria, dagli Stati Uniti alla Grecia, si moltiplicano gli appelli a sostegno della rivolta. Il mondo chiede al regime di mettere fine alle violenze, contro quelle che vengono definite cospirazioni di controrivoluzionari ostili. Nonostante l'invito a non usare una forza sproporzionata contro le proteste avanzato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite. Preoccupazione aumentata anche dalle notizie che arrivano dal Kurdistan: il corpo delle guardie della rivoluzione islamica ha bombardato infatti per il quinto giorno consecutivo la regione del Kurdistan iracheno, dove i curdi sono accusati di sostenere le proteste che stanno scuotendo il paese persiano per la morte di Mahsa. Studenti arrestati in Iran, manifestanti picchiati, il Ministero degli Esteri spagnolo convoca l'ambasciatore iraniano a Madrid stessa cosa anche da Berlino, le reazioni si fanno sentire nel mondo.