Scaduti i termini della custodia cautelare dopo 48 ore di detenzione, tutti e sette gli italiani fermati per presunti legami con l’omicidio del reporter slovacco Jan Kuciak, freddato a casa sua assieme alla sua fidanzata pochi giorni fa, sono stati rimessi in libertà. Non ci sarebbero, evidentemente, elementi sufficienti a loro carico per tenerli in carcere. Nessuna prova che sarebbero coinvolti con il delitto del giornalista, che pure li aveva citati nelle sue scottanti inchieste sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel tessuto sociale, economico e politico slovacco. Una decisione arrivata a sorpresa, quella della magistratura slovacca, dopo il rumore destato dall’operazione di polizia che aveva condotto agli arresti i fratelli Antonino, Bruno e Sebastiano Vadalà, Diego e Antonio Rodà e i due omonimi Pietro Catroppa. Tre di loro – Antonio Vadalà, calabrese da anni trasferito in Slovacchia, il fratello Bruno e il cugino Pietro Catroppa – erano finiti al centro delle inchieste del giornalista, che li aveva accusati di avere rapporti con la ‘ndrangheta e di gestire milioni di euro di fondi comunitari. L’uccisione del reporter aveva di fatto provocato un terremoto politico. L’assistente del premier Robert Fico, Maria Troskova, e il segretario del Consiglio di sicurezza si erano immediatamente dimessi dalle loro cariche e a lasciare era stato anche il Ministro della cultura. Il delitto del giornalista ha provocato sconcerto e rabbia fra la gente, ha mobilitato migliaia di persone a Bratislava e in altre città, che sono scese in piazza per protestare contro la corruzione politica. In tanti hanno sventolato slogan e cartelli con la scritta “la mafia stia fuori dal Paese”. La gente ha chiesto e invocato la verità sull’uccisione di questo reporter, morto a soli 27 anni per aver parlato di soldi, di malavita e di potere.