Hanno marciato verso piazza Tahrir, nel centro di Baghdad per il quinto giorno consecutivo, sfidando le pallottole. Ragazzi che scendono in strada a petto nudo, con una temperatura che arriva anche a 40 gradi, sono quelli che si fanno chiamare generazione dieci dinari, quelli che riescono a guadagnare in una giornata, meno di 8 dollari. Rifiutano ogni etichetta politica e settaria, dicono: non siamo né sciiti nè sunniti, siamo iracheni. L'Iraq segna così una nuova fase della rabbia araba, rivendicano salari migliori, servizi pubblici decenti. Una rivolta apolitica, manifestanti hanno rifiutato endorsement di ogni tipo dai partiti, anche di quelli che avevano cavalcato le proteste dell'anno scorso. L'imam Moqtada al-Sadr, che da capo milizia si era riciclato leader degli oppressori, ha tentato ieri di riconquistare la piazza con la proposta di elezioni anticipate, ma con uno scarso successo. "Cinque giorni di morti e feriti, questo deve finire", cosi Jeanine Hennis-Plasschaert, rappresentante speciale del segretario generale dell'ONU per l'Iraq ha commentato su Twitter le violente proteste che da quasi una settimana scuotono l'Iraq. Secondo i dati della Commissione Diritti Umani del Parlamento iracheno, in 99 sono stati uccisi, quasi 4000 i feriti nelle manifestazioni contro disoccupazione, corruzione, nate a Baghdad e poi sfociate anche al sud.