Nella grande moschea di Stoccolma gli imam delle varie comunità arrivano alla spicciolata. L’attentato terroristico di venerdì ha fatto sì che si decidesse di organizzare una preghiera collettiva, per poi prendere parte alla commemorazione pomeridiana, aperta a tutti, nella piazza limitrofa al luogo dell’attacco. Nessuno lo ammette apertamente, ma è chiaro che i musulmani di Stoccolma si sentono nel mirino di chi li considera tutti potenziali terroristi e fanatici. Certo che ci sono razzisti anche qui, ma in realtà i rapporti sono ottimi: gli svedesi sono molto ospitali, gente molto aperta. E noi, siamo loro estremamente grati, ci dice il direttore della moschea. Ma allora perché, chiediamo, anche qui a Stoccolma ci sono quartieri-ghetto dove i giornalisti non possono filmare, gli agenti non si azzardano più ad intervenire e il commissariato di polizia è stato chiuso? La risposta non convince, tantomeno rassicura: ma è dappertutto così, anche a Parigi, a Londra, anche in Italia, ci dice il direttore, volendo liquidare la questione. Difficile, dunque, pensare a una vera integrazione. Anche quando si vedono, come in questo caso, cristiani che attendono davanti alla moschea la fine della preghiera per poter andare alla manifestazione, tutti insieme. In piazza hanno partecipato in massa all’iniziativa nata su Facebook, tra canzoni, discorsi e preghiere alle 14,53, l’orario esatto dell’attacco, è stato osservato un minuto di silenzio. Intanto si è appreso che all’uzbeko ritenuto responsabile dell’attacco, era stato rifiutato l’asilo politico e doveva essere espulso. Nelle ultime ore, poi, è stato convalidato un secondo arresto.