Che tra Corea del Nord e Stati Uniti non corra buon sangue è fatto risaputo, ma ora il rischio che si corre ha un nome preciso e si chiama Escalation. Il missile, partito da Pyongyang, che ha viaggiato per 2.700 chilometri sorvolando il Giappone e finendo in mare, segna molto probabilmente un punto di non ritorno nei rapporti sempre più tesi tra i due Stati. Che sia poi realmente il preludio, così giura il regime, a colpire Guam, isola del Pacifico, considerata territorio statunitense, è tutto da stabilire. Di certo non sembra aver sortito grandi effetti l’intervento unanime del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che ha condannato fortemente l’azione dei coreani e ribadito la necessità di attuare pienamente, in modo rigoroso e veloce, le sanzioni già imposte dalle Nazioni Unite. Al momento non è infatti previsto ce ne saranno delle nuove. Insomma, Kim Jong-un sembra voler tirare dritto, ma nessuno sa dire fino a che punto arriveranno le sue nuove minacce. Washington, dal canto suo, non resta a guardare. Donald Trump ribadisce che tutte le opzioni sono sul tavolo, incluse quelle militari, e che il tempo del dialogo è finito. Nel frattempo, l’agenzia di difesa missilistica americana ha intercettato con successo e ha abbattuto un missile balistico a medio raggio al largo delle coste delle Hawaii, un test in vista delle possibili prossime mosse di Pyongyang, un modo per farsi trovare pronti.