Più che una porta, quella che Donald Trump ha riaperto per i rifugiati, è una fessura. È scaduto ieri il divieto d’ingresso di 120 giorni per chi scappa da guerre e persecuzioni, imposto prima dell’estate dal Presidente americano, che ha dunque firmato un nuovo ordine esecutivo in cui riammette la possibilità di accogliere i profughi, anche se comunque con nuovi e più stringenti controlli. Dai loro viaggi passati, passando per i social e le esperienze di lavoro, l’America resterà comunque un sogno irrealizzabile per i cittadini di undici Paesi ritenuti ad alto rischio. La Casa Bianca non ha voluto svelare di quali Paesi si tratta, anche se si sa che rappresentano il Paese di provenienza, attualmente, per il 44 per cento dei rifugiati, ed è immaginabile che qualcuno fra Siria, Libia, Iran, Yemen, Somalia, Corea del Nord e Venezuela possa essere incluso nella lista, dato che questi sono i nemici per cui resta comunque in vigore il bando per gli immigrati, recentemente in parte bloccato da un giudice delle Hawaii. Inoltre, è stato precisato che comunque, anche chi proviene dagli undici Paesi considerati rischiosi, può presentare domanda d’asilo, anche se, tranne casi eccezionali, per i prossimi 90 giorni ogni ingresso verrà fermato per valutare quali ulteriori tutele e controlli saranno necessari per garantire la protezione degli Stati Uniti. Infine, e questo non vale solo per i Paesi nella lista nera, viene sospeso anche il programma di ricongiungimento familiare per alcuni dei rifugiati che già si trovano in quella che un tempo era vista come una terra promessa.