Toglietegli tutto ma non il suo Twitter. Anzi vendeteglielo, regalateglielo se serve. Ma dove lo trova il tempo di contare i soldi, fondare società, lanciare razzi e conquistare il mondo se sta sempre a twittare? L'ultima sparata è un vero e proprio coming out politico: Elon Musk diventa Repubblicano. L'uomo più ricco del pianeta, che sul social media più famoso che c'è ha 94 milioni di seguaci, dice di avere sempre votato per i Democratici perché era il partito della gentilezza. Oggi però fomentano odio e divisioni, sentenzia quello che il giorno dell'assalto al Campidoglio aveva la televisione rotta, quindi d'ora in poi voterà Repubblicano. Rapida lettura randomica dei commenti sotto: chissenefrega; fatti un partito, ehi ciao, non è che mi presti un miliardo? Ora, Elon Musk, che una volta fece un intervista in diretta fumandosi una canna, non è Kissinger. Così come non lo è Jeff Bezos, fondatore di Amazon, secondo uomo più ricco del mondo che qualche giorno prima aveva attaccato direttamente il Presidente degli Stati Uniti perché vorrebbe combattere l'inflazione alzando le tasse alle grandi aziende. Se curare i propri interessi è legittimo, pretendere di presentarsi all'opinione pubblica come una vittima dell'establishment o un paladino dei diritti è più problematico. A colpi di politiche ambientaliste e incentivi alle auto elettriche, ad esempio, il partito Democratico fu con Musk in effetti molto gentile. Poi cominciò a chiedergli di pagare le tasse, scortesia terribile, e lui fece armi e bagagli trasferendo tutto dalla democraticissima California al repubblicanissimo Texas, terra di aspra bellezza desertica e gentilissimi funzionari delle imposte.