Il messaggio è chiaro, con minacce formulate utilizzando parole, e concetti, emblematici. In caso di attacco alla Bielorussia, Minsk e Mosca risponderanno immediatamente con ogni tipo di arma. A parlare è l'ultimo dittatore d'Europa, Alexander Lukashenko che dunque conferma con queste sue frasi non solo come l'alleanza con il Cremlino resti ferrea, ma si spinge anche a farsi un vanto delle diverse decine di testate nucleari russe, che, spiega, sono già schierate proprio nella sua Bielorussia. E per sottolineare la minaccia di una escalation nucleare afferma infine che è alta la probabilità di provocazioni armate da parte di unità ucraine con incidenti di confine, visto che per Lukashenko i militari ammassati da Kiev su questa frontiera sarebbero 120mila. Gli avvertimenti del presidente bielorusso, che sulle testate atomiche si riferisce ad un accordo firmato lo scorso anno con Vladimir Putin, sono probabilmente diretta conseguenza dell'annuncio di Washington della fornitura all'Ucraina ad inizio aprile di missili a lungo raggio, con una gittata di 300 km, in grado di colpire in profondità porzioni di territorio sotto il controllo russo, Crimea compresa. Sono questi missili, che l'amministrazione Biden ha fatto consegnare in segreto per evitare di mettere a rischio il personale militare ucraino, che potrebbe imprimere un cambio di passo al conflitto. Il Cremlino ha reagito annunciando l'espansione di quella che definisce zona di cuscinetto tra Russia e Ucraina, negando che i missili possano cambiare le sorti della guerra ed affidando dunque a Lukashenko l'onere di parlare di apocalisse nucleare se la pressione su Mosca dovesse ulteriormente salire. Basta una parola incauta, la sua minaccia diretta a Kiev e all'occidente.