Le stesse parole, le stesse immagini, sempre la stessa storia. "Non riesco a respirare", dice questo afroamericano al poliziotto che lo inchioda a terra con un ginocchio sulla schiena. Ma non è George Floyd, l'uomo ucciso due anni fa Minneapolis, diventato simbolo del movimento per le vite dei neri. Si chiamava invece Frank Tyson, aveva 53 anni e una settimana fa a Canton, una cittadina a sud di Cleveland in Ohio, è andato a sbattere con la sua auto contro un palo della luce. Un incidente banale, nessuno si è fatto niente ma qualcuno ha chiamato la polizia. Gli agenti lo hanno trovato in un bar di fronte, probabilmente alterato, sicuramente spaventato. "Chiamate lo sceriffo, vogliono uccidermi", si è messo a urlare. I poliziotti non sono andati per il sottile. Lo hanno ammanettato e sbattuto a terra, e per tenerlo fermo uno di loro lo ha bloccato con quella mossa tanto pericolosa e contestata. Frank Tyson perde conoscenza ma gli agenti non se ne accorgono, anzi scherzano sulla colluttazione. Quando però vedono che non si riprende e tentano di rianimarlo, è tardi. Muore un'ora dopo in ospedale e sarà un'indagine adesso a dover stabilire esattamente e freddamente cosa abbia causato il decesso. In attesa dei risultati i due agenti sono stati messi in congedo forzato.