Ribaltata la sentenza di primo grado, Ignazio Marino, ex sindaco di Roma, è stato condannato in appello, per peculato e falso, a due anni per le spese sostenute con la carta di credito del Comune. È il cosiddetto “caso scontrini”, un’inchiesta che aveva portato il chirurgo a dimettersi dall’incarico di primo cittadino. Per i magistrati di secondo grado, Marino tra il 2013 e il 2015 avrebbe pagato cene ad amici e parenti per un totale di circa 13.000 euro con la carta di credito del Campidoglio spacciandole nei giustificativi di spesa come incontri istituzionali. Da qui l’accusa di falso. In particolare, per la Procura 26 delle oltre 50 cene contestate avvennero in giorni festivi e prefestivi, circostanza che ha portato gli inquirenti a considerare chi si trattò di incontri ben lontani da impegni istituzionali e non solo. Molti ristoratori – sottolinea ancora l’accusa – riconobbero nella signora Marino la commensale del sindaco. Opposta, ovviamente, la lettura del legale dell’ex primo cittadino che nell’arringa ha sottolineato come, invece, Marino sia riuscito a far guadagnare alla Capitale somme ben superiori alle modeste spese di rappresentanza sostenute. Tra l’altro, ha aggiunto, i giustificativi in questione erano sottoposti a un triplice controllo: cerimoniale, ragioneria, Corte dei conti e nessuno di loro ha mai mosso rilievi. Ma per la Corte d’Appello Ignazio Marino è colpevole e l’ha condannato anche a risarcire i danni al Comune di Roma e all’interdizione dai pubblici uffici per la durata della condanna. Lo ha invece assolto, confermando in questo caso la sentenza di primo grado, dall’accusa di truffa legata a una vicenda di presunte collaborazioni fittizie per la ONLUS da lui fondata.