Nemo profeta in patria. O almeno, in governo. Il programma di Mario Draghi per l'Europa, in parte anticipato come contenuto del suo rapporto sulla concorrenza che sarà disvelato dopo le elezioni, ha acceso immediatamente i riflettori sull'ex presidente della BCE come possibile decisore ai vertici dell'Unione. Apprezzamenti ampi per super Mario. Alcuni sorprendenti, come quello dell'ungherese Orban che rivela che a lui Draghi piace. La strada è lunga, il candidato non è candidato e forse quei riflettori accesi troppo presto serviranno a bruciare il nome, come spesso accade. Certo però, la reazione del Governo italiano è un po', come dire, disordinata. All'interno di Fratelli d'Italia si va dal riservato tacer di Meloni, e ci mancherebbe, al quasi endorsement di Ignazio La Russa, alla, sempre quasi, profezia che si auto avvera del capogruppo alla Camera Foti, che dice a Sky TG24 che al conclave, spesso, chi entra Papa esce Cardinale. Qualcuno avrà visto Macron, accreditato come principale sponsor di super Mario, fare scongiuri. Forza Italia può rivendicare il legame storico con Draghi e i suoi prestigiosissimi incarichi, Berlusconi ne fece il candidato italiano al vertice della BCE. La Lega continua a dire che sì, per carità, Draghi sarà anche bravo, ma aver fatto parte del suo governo è stato un pessimo affare per il consenso. E poi, con timing perfetto, arrivano le anticipazioni del libro di Matteo Salvini, molto critico con l'ex premier nelle pagine dedicate a quel governo. E ancora la grande Europa, unita e federale che Draghi disegna nel suo rapporto ha poco a che fare con quella minima e sovranista che i leghisti propongo con i loro alleati di identità e democrazia. Insomma, prendesse davvero corpo la candidatura dell'ex banchiere centrale ai vertici del Consiglio o della Commissione, il governo sarebbe davanti a un serio imbarazzo nel prendere una posizione unitaria. Chissà se non appoggiare un candidato italiano sarà considerato, se e quando, l'imbarazzo meno sostenibile.