Qualche giorno fa, parlammo delle ambizioni dell’Italia ad essere protagonista nello scenario mediorientale e del tentativo di Antonio Tajani per un dialogo con le autorità iraniane. Dalle quali dipendeva l’escalation: la trasformazione, che tutti dicono di non volere, della guerra Israele–Gaza–Libano in un conflitto Regionale con conseguenze globali imprevedibili. Dall’Iran dipende ancora questa trasformazione. Ma il problema ora sembra più quello di frenare l’operazione che Israele chiama abbastanza sinistramente “Nuovo Ordine”, al cui successo Netanyahu sembra voler sacrificare qualsiasi cosa, compreso il posto e la reputazione di Israele nella comunità internazionale, cioè dell'unico avamposto, finora, di democrazia “occidentale” in tutto il Medioriente. Per ora l’escalation la sta guidando Tel Aviv. Non è un giudizio di valore. Perché è difficile dire se le scelte di Netanyahu siano utili, figuriamoci definirle giuste o sbagliate. Ma l’escalation, cioè l’allargamento delle prospettive e dei mezzi usati in un conflitto, è la parola che definisce, se non il fine, almeno lo strumento scelto dal Governo israeliano. L’Italia è molto preoccupata, dalle prospettive a lungo termine del conflitto. E da quelle a breve termine. C’è un’importante partecipazione militare italiana alla missione UNIFIL, nel Sud del Libano. Non c’è per ora, nessuna intenzione di riportare i nostri uomini a casa. E però lo stesso Ministro della Difesa ammette che la situazione è delicata, che l’evoluzione del conflitto non fa stare tranquilli. Gli italiani, per ora, hanno raggiunto posizioni protette, in bunker che dovrebbero garantirne l’incolumità. È il sintomo chiaro, questo, di quanto lo scenario sia complicato. Un incidente tra le parti in causa e l’ONU sarebbe un ulteriore salto di qualità. In Italia le opposizioni vogliono il Governo in Parlamento. Sostengono, diremmo a ragione, che è quello il luogo per parlare di situazioni così gravi. PD, 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, non vogliono solo che il Governo riferisca, ma che prenda una posizione chiara, condanni l’operato di Israele. Tajani, Crosetto e Meloni misureranno le parole ma uno stigma per Netanyahu non ci sarà. Vedere bagarre in Aula su questo non è auspicabile. Ma molto, molto prevedibile. E l’indomani sarebbe tutto più difficile.