"Contestiamo in questo luogo ed in tronco la validità dell'elezione della maggioranza, l'elezione secondo noi è essenzialmente non valida." L'invettiva contro il nascente regime fascista che il 30 maggio del 1924 decretò la condanna a morte di Giacomo Matteotti rivive nell'interpretazione accorata di Alessandro Preziosi alla presenza delle massime cariche istituzionali. Quello del leader socialista fu l'ultimo discorso per denunciare la violenza, i brogli degli uomini di Mussolini nei seggi elettorali pronunciato dal suo scranno a Montecitorio prima di venire assassinato da una squadraccia fascista che si accanì sul suo corpo che venne ritrovato soltanto in agosto. La tragica fine di Matteotti, ricco borghese veneto del Polesine, terra di braccianti agricoli piegati dalla povertà da cui nacque il suo impegno politico, portò le opposizioni a salire sull'Aventino per protestare contro il regime che il duce stava edificando, calpestando il Parlamento trasfigurato in aula sorda e grigia. La premier Meloni ha usato parole inequivocabili per ricordare la matrice ideologica di quella spedizione punitiva: "Siamo qui a commemorare un uomo libero e coraggioso ucciso da squadristi fascisti per le sue idee, onorare il suo ricordo è fondamentale per ricordarci ogni giorno a distanza di 100 anni da quel discorso il valore della libertà di parola e di pensiero contro chi vorrebbe arrogarsi il diritto di stabilire cosa è consentito dire e pensare e cosa no." Il presidente della Camera Fontana ha annunciato che su quello scranno appartenuto a Matteotti non potrà più sedersi nessuno. "A perenne ricordo del suo sacrificio questo scranno non sarà più assegnato ad alcun deputato." Per Fontana la sua morte non è stata vana e Matteotti aveva a cuore in particolar modo la tutela delle classi più deboli che voleva emancipare economicamente e culturalmente.























