Recovery Plan, 6 manager nella struttura tra Chigi-Mes-Mise

29 nov 2020
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209 miliardi di euro fra prestiti e finanziamenti a fondo perduto, una cifra di denaro mai vista dal dopoguerra in Italia. Miliardi che devono essere spesi per far ripartire un Paese già in difficoltà prima della pandemia e che l'emergenza economica sta accentuando, anche per l'altissimo debito pubblico. Di mese in mese, a fine novembre, il recovery plan italiano è ancora un progetto definito solo per titoli. Per la gestione si fa strada una struttura piramidale, con una, l'ennesima, cabina di regia in capo al premier Conte, al ministro dell'economia Gualtieri e a quello dello sviluppo economico Patuanelli e al comitato interministeriale affari europei presieduto da Amendola. E poi sostenuta da un comitato tecnico guidato da sei manager con poteri eccezionali ed esecutivi. La maggioranza lavora coesa per il recovery fund, costruiremo una governance appropriata per spendere in maniera veloce ed efficace i 209 miliardi. Quello che preoccupa sono i ritardi dovuti al veto di Ungheria e Polonia sul cronoprogramma europeo. Nella prossima legge di bilancio sarà inserito un maxi-emendamento per chiarire e definire la catena di comando dei fondi europei. Da Ursula Von Der Leyen il messaggio è chiaro: l'Italia faccia la sua parte, attraverso un approccio strategico e riforme adeguate. La sfida è che finalmente si realizzi ciò che si progetta a parole e nei tempi stabiliti.

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