Per la giustizia americana è un regista fuggitivo da quarant’anni. Ci sono delle novità nell’odissea giudiziaria di Roman Polanski: Samantha Geimer, la ragazza che nel 1977 subì violenza sessuale dal regista, ha chiesto a una Corte di giustizia americana che il caso venga archiviato. “Vi imploro di non incarcerare un uomo di 83 anni”, ha detto ai giudici. Non era mai successo prima, anche se la donna aveva dichiarato in più occasioni di aver perdonato Polanski. La Geimer, oggi cinquantaquattrenne, aveva 13 anni quando Polanski la drogò e abusò di lei nella villa di Jack Nicholson. Polanski, che ammise il reato, rimase in carcere per 42 giorni e venne sottoposto a perizia psichiatrica prima di venire rilasciato. Dal 1978 il regista franco-polacco non ha più messo piede negli Stati Uniti. Prima scappò a Londra e poi in Francia per aggirare l’estradizione, ma negli anni la giustizia statunitense non ha mai mollato la presa. Nel 2002 un mandato d’arresto impedisce a Polanski di partecipare a Hollywood per ritirare l’Oscar. Nel 2009, su mandato USA, viene arrestato a Zurigo. Fa due mesi di carcere, poi esce su cauzione e trascorre i domiciliari nel suo chalet a Gstaad. Nel 2010 la Svizzera nega l’estradizione del regista. La nega anche il tribunale di Cracovia nel 2015. Gli avvocati di Polanski cercheranno, ora, di rescindere il mandato di arresto internazionale che impedisce al regista di “Rosemary’s Baby” di entrare negli Stati Uniti da uomo libero.