La Chimera: Alice Rohrwacher a Skytg24. VIDEO

24 nov 2023
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Buonasera, grazie e benvenuta soprattutto ad Alice Rohrwacher, ciao Alice. Buonasera e grazie dell'invito. Grazie a te ad avere accettato di venire a parlare di un film bucolico, poetico e libero come forse sei anche tu nella vita, non lo so, di certo nella vita professionale l'hai dimostrato di esserlo, come La Chimera che è in sala che era stato presentato al Festival di Cannes. Allora, è un film nel quale non è subito facile ed immediato entrare, parlo per me, ma una volta che poi almeno, io sono entrata, non volevo quasi più andare via, volevo stare con Artur e capire e cercarlo di aiutare in qualche modo. Raccontaci tutto. In genere, tutti i tesori sono sempre un po' difficili da trovare. No? La mappa del tesoro, la ricerca fa parte del tesoro. Che cosa sarebbe il tesoro se potessimo subito accederci. Certo. E quindi, in qualche modo, questo film ricalca una caccia al tesoro. All'inizio, siamo un po' persi. Abbiamo bisogno di una mappa, non sappiamo, esattamente, dove cercare e cosa cercare; dobbiamo collezionare degli indizi e ad un certo punto cominciamo a vedere i percorsi. Inizia che subito sembra che sta succedendo qualcosa di tremendo invece presentiamo un eroe che è un eroe romantico in un mondo che non crede più al romanticismo, e quindi, ci ride sopra. Esattamente. Chi è Artur, interpretato benissimo da Josh O'Connor? Josh O'Connor, un attore incredibile che ha dato tanto a questo film, è uno straniero, è un archeologo, l'inglese lo chiamano che ha iniziato a bazzicare con i tombaroli e non vuole più in realtà farlo, ma poi non resiste. Non resiste perché, questi tombaroli, per quanto discutibili, sono comunque una famiglia per lui. La famiglia che lui non ha. È un vagabondo, è un uomo senza radici o meglio è un uomo che ha una sola radice: l'ha trovata dentro una donna, questa sua radice. Ma questa donna non c'è più. Questi due mondi, il mondo dei vivi e il mondo dei morti sono legati e sono legati dalla memoria, da questo filo di memoria che attraversa tutto il film. Italia è un personaggio che io amo molto e in cui ho messo, credo tutto il mio amore, anche per questo paese. Diciamo subito che Italia non è italiana, nel film è una straniera, però che incarna secondo me questa grazia e questa generosità che io cerco sempre ancora di rintracciare nel mio paese anche se è sempre più difficile trovarla ma so che c'è sotto sotto. Allora, vediamo intanto un passaggio di questo film, de La Chimera. "Certo che erano tutti matti sti Etruschi. Credevano pure che nel volo degli uccelli si può leggere il destino". C'è un altro personaggio bellissimo, abbiamo appena parlato di Italia, c'è un altro personaggio bellissimo femminile che è Flora che è Isabella Rossellini che, anche lei secondo me, a gusto mio, ha una grazia tutta sua tra una fierezza, un piglio, in qualche modo anche un'acidità da un lato, però assolutamente, però, la sua grazia è alla sua Chimera. Sì lei anche lei ha i suoi sogni e le sue, il suo mondo. La sua Chimera è sua figlia, una delle sue figlie, perché lei ne ha tante in realtà. Ma questo non vuol dire che non ci può mancare quella che non c'è più. Cioè, non è che nell'abbondanza, una perdita si sostituisce. La sua Chimera è il racconto, il raccontarsi che questa figlia c'è, è da qualche parte e che va solo trovata. Flora, Isabella Rossellini, è stata dentro questo film con una generosità e con una interezza veramente incredibile. Io ringrazio Isabella per avermi accompagnato e per aver portato la sua ironia così seria. Non so come dire, il suo gioco, ma che è un gioco quando dico gioco serio perché credo che solo i bambini sappiano giocare con questa profonda serietà e rispetto per il gioco. Ecco, lei è come un eterna bambina in questo. Tu sei da sempre legata alla tua terra. Sei sempre legata alle tue radici. Che cosa ti danno, che cosa ti danno? Che cosa ti dà la terra, quella tua terra che altri, altri posti non hanno? Allora, prima di tutto è una terra di confine e quindi da questo, il mio amore per i confini, per i margini. Io vivo in Umbria, a pochi centinaia di metri dal confine con il Lazio e la Toscana. Quindi, c'è una specie di triangolo, di sopravvissuti a tutte le identità, perché in qualche modo il fatto di abitare sul confine, fa sì che ci sia un'evoluzione costante dell'appartenenza. Non si è mai chiusi dentro un appartenenza fossilizzata, ma si evolve e io credo che le mie radici per me siano fondamentali perché le radici, in realtà, ci aprono, non ci chiudono. Quando parliamo delle nostre radici, spesso sembra come dire: "Ah, voglio parlare di me e della mia identità". Ma parlare di radici vuol dire lasciare andare la propria identità e parlare di ciò che ci rende umani, di ciò che ci unisce perché dentro le nostre radici c'è una connessione profonda con un popolo, una cultura e anche una possibilità bellissima che questo paese che è l'Italia così esposto su tutti i lati, ha naturalmente quella di accogliere l'altro. Non c'entra nulla, ma vedendo il film, credimi non so perché era una domanda che ti volevo fare. Quale è la tua stagione preferita? Ogni volta che sono in una stagione mi sembra la mia stagione preferita. Questa cosa dura ormai da tutti i miei anni. Ogni volta dico, ma quanto è bella la primavera! È una cosa incredibile, è proprio la mia stagione preferita. Questa resurrezione a cui assistiamo, in cui credo e poi arriva l'estate dico no. Vabbè, l'estate è la più bella di tutte le stagioni come canta Pippi Calzelunghe, il mio personaggio di riferimento. Poi arriva l'autunno, mai sono stata così bene, avvolta da questi colori come adesso, mi viene quasi commozione; la strada che porta ad Orvieto è di tigli. È una fiamma gialla da lontano si vede questa fiamma ed io ogni volta che porto mio figlio a scuola dico: "Che fortuna, che meraviglia". Poi arriva l'inverno che forse non potrei mai fare niente se non ci fosse l'inverno, perché è il momento in cui riesco a concentrarmi, a essere seme, a chiudermi lì nel mio freddo e sviluppare idee per l'avvenire. L'ultima domanda, te la faccio per farti sorridere, come ti senti ad essere una regista donna? Mi sento molto fortunata, mi sento molto fortunata. Innanzitutto, perché ho un'eredità grandissima e bellissima di tutte queste donne che non hanno magari potuto parlare pubblicamente, ma hanno elaborato modi di raccontare unici e speciali, ed io parlo, sono io ma dentro di me c'è tante voci. Mi sento comunque che porto avanti un coro, mi sento anche molto fortunata perché all'inizio quando ho iniziato a fare questo lavoro, io sono figlia di un padre e di una madre femministi. Quindi, sono cresciuta senza pensando che fosse una battaglia già vinta. Quando ho iniziato a fare questo lavoro, hanno subito iniziato a chiedermi come ti senti in quanto regista donna, come ti senti una, due, 100 volte, 200 volte, 400 volte. All'inizio ero infastidita, poi ho capito la grande possibilità che avevo e cioè riflettere sulla mia identità. I maschi non lo possono fare perché nessuno gli chiede come è essere un regista maschio. E allora, forse io credo che dovremmo dare anche a loro questa possibilità di riflettere sulla propria identità di genere perché a noi c'è stato chiesto e ci viene chiesto continuamente e questo ci ha portato a migliorare, secondo me. È sempre un piacere, davvero. Grazie mille, grazie ad Alice Rohrwacher, in sala con La Chimera. Grazie e a presto. A voi.

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