Wimbledon, Tunisia e guerra in Ucraina nella finale donne

08 lug 2022
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È raro che la politica faccia il suo ingresso sul campo centrale dell'All England Lawn Tennis Club dove si svolge annualmente il torneo di Wimbledon. Da una parte l'entusiasmo sportivo di un paese in crisi sociale, economica, alimentare, come la Tunisia davanti alla prima volta di una concittadina, di una atleta araba e africana a una finale di uno Slam, dall'altra l'imbarazzo che suscita la presenza, in quella finale, di una tennista che gioca sotto bandiera kazaka dal 2018 ma che è nata a Mosca nell'anno del veto agli atleti russi in protesta contro l'invasione dell'Ucraina da parte dell'armata di Vladimir Putin. Così la partita di sabato tra la tunisina Ons Jabeur e la kazaka Elena Rybakina è già un caso. In Tunisia un caso di entusiasmo dilagante: nel paese nordafricano innamorato del pallone nei caffè si parla oggi di tennis femminile. La storia dei successi della ventisettenne Ons Jabeur numero due al mondo è un tale raro raggio di ottimismo in un paese colpito dalla crisi economica, sociale, politica, resa ancora più dura dalle ricadute della guerra in Ucraina che la tennista è stata ribattezzata "Ministro della Felicità" dai suoi connazionali. Il conflitto alle porte d'Europa e dall'altra parte della rete del campo centrale una possibile fonte di imbarazzo per gli organizzatori del prestigioso torneo e per la leadership politica britannica già abbastanza nel caos per la crisi del Premier Boris Johnson. Se a trionfare infatti fosse la ventitreenne Elena Rybakina a vincere Wimbledon e a ricevere il trofeo direttamente dalle mani della Duchessa di Cambridge Kate Middleton sarebbe una atleta nata a Mosca nell'anno in cui i vertici sportivi britannici, e non soltanto, hanno scelto il sostegno simbolico all'Ucraina invasa e bombardata.

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