"Il Medio Oriente ha il petrolio, noi i metalli rari". Si narra lo dicesse ai suoi più stretti collaboratori Deng Xiaoping il leader supremo della Cina dal 1978 al 1992, noto come il "capo architetto" della riforma economica cinese. I metalli rari altro non erano che quelli recentemente ribattezzati "terre rare". Di fatto 17 elementi chimici della tavola periodica poco conosciuti in passato nel panorama delle materie prime, ma che oggi sono tra i più ricercati dalle potenze economiche globali. Le terre rare saranno il combustibile della rivoluzione tech-green del nostro futuro e avranno un ruolo di spicco nella transizione energetica. A dispetto del nome la diffusione di alcuni di questi elementi è pari a quella del rame o del piombo. Solo in concentrazioni molto basse nei giacimenti minerari, mescolate alla roccia, per cui richiedono un processo estrattivo molto complesso. Solo per capire: per ottenere un chilo di vanadio, utilizzato nelle leghe di acciaio speciali, bisogna purificare otto tonnellate e mezzo di roccia che diventano addirittura 200 tonnellate per un chilo di lutezio, utilizzato come catalizzatore in vari processi chimici. Le terre rare giocano nell'industria moderna un ruolo primario per aggiungere resistenza, leggerezza, proprietà magnetiche e conduttive alle leghe. Conferiscono prestazioni di gran lunga più efficienti ai motori delle auto elettriche, sono necessarie per le turbine eoliche, negli smartphone, in moltissimi strumenti medici e in alcuni tipi di missili militari. L'europio è presente nelle lampadine led e l'erbio è essenziale per le applicazioni laser e nelle fibre ottiche. Non c'è prodotto tecnologico moderno che non richieda terre rare. Il Paese che ne possiede il 40% delle riserve planetarie è la Cina che vanta anche la produzione del 60% dell'offerta mondiale. Per avere un'idea gli Stati Uniti ne producono il 16%, l'Europa il 3.