Sky Inclusion Days - Rappresento ergo sum?

17 mag 2023
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"Vi è piaciuta Kaze? Che avete sentito, bella eh? Adesso ce l'avremo di nuovo qui, per chiacchierare anche con lei. Vieni Kaze. Kaze Formisano, attrice e cantante, lo avete scoperto. E poi invito a salire sul palco Francesca Vecchioni, che è fondatrice e presidente di Diversity e Sonia Rovai, Director Scripted Production di Sky Italia. "Dove volete". "Dove vogliamo?". "Vai al centro". "Dai, io mi metto laterale". "Ok, eccoci qua. Allora, io non so se c'è il titolo. No. Ve lo dico io, allora, il titolo di questa nostra conversazione è: Rappresento ergo sum? Essere inclusivi sullo schermo. Come si fa ad essere inclusivi sullo schermo. Allora, io comincerei da Francesca che, avete sentito, è fondatrice e presidente di Diversity. Diversity fa un monitoraggio continuo delle buone pratiche di comunicazione inclusiva in tutto il panorama mediatico italiano, che significa?" "Esattamente. Eh, che significa? Allora, faccio solo un piccolo pre, perché bisogna essere inclusivi nei media? Beh, bisogna essere inclusivi nei media perché tutto ciò che ci arriva, tutto ciò che noi guardiamo seduti sul divano, ascoltiamo alla radio mentre stiamo guidando, tutto ciò che noi in qualche modo assumiamo, in realtà compone l'immaginario collettivo. E l'immaginario collettivo è responsabile, in tanta parte dei nostri pensieri, della gran parte delle nostre discriminazioni, ossia dei luoghi comuni, di quei meccanismi mentali veloci che ci fanno pensare che a volte noi siamo, è brutto dirlo, ma pensiamo di essere meglio di qualcun'altro per qualche ragione, ed è un pregiudizio veramente inconsapevole. Su questo tema i media hanno una grandissima responsabilità, perché il modo in cui le notizie ci arrivano, le immagini, le rappresentazioni delle persone, ci fa cambiare completamente il modo in cui noi pensiamo alle altre persone. Anche solo il vederle o non vederle sullo schermo. Quindi vedere o no rappresentate le donne, le persone con disabilità, persone di differenti etnie, persone LGBTQ+ etc. E non solo vederle rappresentate, ma anche come esse vengono rappresentate, fa una grande differenza. Quindi Diversity crea tutti gli anni, ormai da quasi dieci anni, un'analisi di tutti i prodotti mediali che in realtà vengono fruiti dalle persone, quindi da tutte e tutti noi. Tra l'altro, vi invito a vedere il risultato di quest'anno perché è molto imponente, su Diversity Media Awards esiste proprio una parte dove potete scaricare, grazie a Fondazione, gratuitamente, tutta l'analisi. Beh, e alla fine di questo, noi creiamo le nomination, che sono quelle famose nomination..." "Perché viene fatto un premio". "Viene fatto un premio, che è il Diversity Media Awards, che è fatto apposta per valorizzare chi, in realtà, produce contenuti inclusivi. E uno si chiede, e come fate a misurarli? Come si fa? Ci sono vari livelli di misurazione. Il primo è comprendere se questi contenuti realmente arrivano alle persone, perché non è sufficiente fare qualcosa di perfetto, assolutamente inclusivo, con un linguaggio ineccepibile e rappresentativo ma, alle 4 del mattino su un canale, non faccio nomi, magari su un canale che fa sotto lo 0,5 di diffusione, di share. Non basta questo. Quindi, un primo livello è quello della diffusione. Naturalmente, il livello della correttezza è fondamentale. Analizzare cosa è corretto nei media è un lavoro che richiede anni, schede di analisi e, per esempio, parte da come vengono, intanto quante persone e quanti caratteri vengono inseriti in un prodotto, ossia se tu, faccio un esempio pratico che sennò sembra più difficile: se tu vuoi parlare del tema della disabilità, e inserisci in un prodotto una persona con disabilità, intanto devi vedere se questa persona è raccontata e narrata solo per quell'aspetto, cioè se la sua caratteristica è l'unica che determina tutta la persona, qualcosa non va, nel senso che il personaggio dev'essere completo e complesso, al di là di una sola caratteristica. Quindi c'è tutto il tema della centralità dell'area e c'è un tema dell'approfondimento, ossia, la questione della disabilità e quel personaggio, al di là della sua caratteristica, se fosse tolto dalla storia, cambierebbe qualcosa? Farebbe cambiare la storia? Sì o no? Cioè, quello è un personaggio che è centrale nella storia? O è solo messo lì per fare tokenismo? Cioè per dire, ok l'ho messo. Poi c'è tutto il tema della rappresentazione dell'immagine, cioè la stereotipizzazione, se ci sono immagini sensazionalistiche, se tu a quel personaggio stai facendo, per esempio, lo utilizzi per valorizzare l'eroe o l'eroina bianca della storia senza disabilità etc, e quindi è solo funzionale a quello? E allora c'è qualcosa che non va anche lì". "E voi valutate tutto questo?". "Tutto questo. Per esempio, un altro aspetto molto interessante è come è narrato, ossia una persona con disabilità è narrata con un registro pietistico, paternalistico? Ecco, non va bene, perché, è naturalmente una narrazione scorretta". "Allora, Francesca, alla fine facciamo anche un invito a loro perché si può votare, perchè la premiazione ci sarà a fine giugno, giusto?". "La premiazione è il 21 giugno a Milano, se qualcuno vuole venire, i biglietti ci sono". "Alla fine facciamo il promemoria". "Va bene, perfetto". "Sonia, com'è cambiata la situazione da parte di chi fa questo genere di prodotti?". "Allora, innanzitutto buongiorno. Com'è cambiata? É ancora in evoluzione, ne parlavamo prima tra di noi. Quello che si è iniziato a fare è molta formazione e comunicazione, cosa che prima era assente o comunque era parcellizzata, non era così, diciamo, diretta. Noi stessi ci siamo sentiti molto in questi ultimi mesi e grazie al team capitanato da Erica Negri, e con Francesca, abbiamo messo in piedi un workshop che faremo a fine mese per tutto il team di Sky che lavora sui contenuti. Perché poi la cosa fondamentale è capire. Cioè, quelle che sono le barriere, gli ostacoli affinché la comunicazione evolva, vengono alla fin fine da quello che è il mondo circostante. E se noi non abbiamo dei facilitatori, qualcosa che ci permetta di accedere in maniera più chiara, in maniera più coerente e comprensiva a quelle che sono le difficoltà che si incontrano nel mondo dell'industry, poi è difficile fare qualcosa e si rischia di cadere in questa stereotipizzazione o appunto nel... spunto anche questa, cosa che invece è quello che è deleterio". "Però col rischio poi di creare delle macchiette più che dei veri personaggi". "Assolutamente, infatti quando poco fa parlava Francesca, io ho portato una clip però forse se non c'è tempo possiamo anche saltarla, la possiamo riassumere, che riguardava...". "Ma no, vediamola. Magari rimane anche un po' in sottofondo mentre, se vuoi, continuiamo...". "Bah, sì, è parlata in realtà. Dura un paio di minuti e riassume il lavoro fatto, proprio nell'ottica di...". "Vediamola, facciamola andare". "Facciamola vedere". "Intanto, dai". "Va bene". "È una clip tratta, intanto, da?". "Da Django". "Da Django, dalla serie Django". "Che è andata in onda a febbraio". "Sì. E si vede un personaggio che ha una caratteristica particolare". "Allora, Adam, il protagonista di questa serie, cioè il figlio della nostra protagonista, ipovedente, è ipovedente dalla nascita, è ipovedente anche l'attore che l'ha interpretato. Ma per noi è stato fondamentale avere lui in questo ruolo. E quindi è stato un casting molto difficile e non facilmente risolvibile, come raccontava Francesca, perché c'è stato un momento in cui non lo trovavamo". "Cioè, non trovavate l'attore?". "Non trovavamo l'attore ipovedente, realmente in grado di sostenere, comunque, un'attrice come Noomi Rapace, che è un'attrice un'attrice famosa internazionalmente, quindi ci vuole comunque un attore di spessore. Lui era anche giovane e Francesca Comencini, la director, ci ha lavorato tantissimo per riuscire a portarlo dove voleva, ma è stato fondamentale perché lui in realtà qui era portatore, diciamo, della guerra fatta alla madre contro l'odio razziale, nell'ottica, quindi, di aiutare e di difendere la comunità nera che stava cercando di uscire, diciamo, da questo ghetto in cui era stata ghettizzata. Quindi, in questo caso, ritornando al discorso di Francesca, era importante avere lui, avere un ipovedente che potesse rendere realmente quello che voleva la regista ma che, al contempo, avesse una storyline. Se non fosse stato lui avremmo dovuto costruirla in un altro modo, perché lei doveva avere un contrasto interno, no? Quindi, questo è il senso di fare formazione. E la formazione deve partire all'inizio, deve partire quando tu scrivi, quindi proprio agli albori di una serie. Perché non basta poi fare il casting, il casting arriva dopo. Però c'è stato un pensiero degli autori, gli autori a monte, di come volevano rendere questa storyline all'interno del racconto. Ce ne sono tanti di esempi così, lo stiamo facendo già da tanto in tutte le serie che realizziamo, è anche per noi un imparare, giorno dopo giorno." "Curiosità. Il pubblico? Che feedback avete rispetto questo genere di personaggi e a questo genere di storie?" "Non abbiamo mai trovato qualcuno che le trovasse sbagliate, tutt'altro. Nel senso, mi viene più da dire che non abbiamo ricevuto i famosi haters oppure quei tipi di approccio...". "Casomai succede quando lo rappresenti...". "Esatto, quando lo rappresenti male. Quindi, questo è il senso, nella mia testa, del fatto che c'è un'evoluzione, no? Che, quindi, sta diventando sempre più normale nel pubblico. E questo viene dalla formazione, dal fatto che a furia di fare comunicazione tu aiuti la gente ad entrare in questo tipo di narrazione. Ed è un po', per poi passare anche un po' la parola, appunto, a Kaze, quello che è successo con Call My Agent e col suo ruolo, alla fin fine, nella serie che tra poco arriverà in una seconda che stiamo per iniziare a girare, prima le chiedevo se era carica. E nasce proprio da lì, cioè è proprio bello come la sua diversità è diventata portatrice di un racconto". "Tra l'altro, ieri quando ci siamo parlati al telefono, Kaze mi ha fatto anche la parte di chi era, non davanti alla cinepresa, ma chi era tra il pubblico, dall'altro lato. E tu hai detto: io quand'ero bambina sentivo la mancanza di un personaggio che mi rappresentasse, cioè che avesse i miei capelli". "Sì, esatto. Io ho fatto molta fatica ad accettarmi, in generale, perché io sono cresciuta in Burundi, dove per me la diversità non era una parola, cioè non esisteva la diversità, io andavo in classe con dei bambini che venivano da tutto il mondo, chi aveva un genitore tedesco, un genitore burundese, quindi per noi era normale essere così. Poi, diversi non ci definivamo neanche diversi, unici, cioè ci rendevamo conto che ognuno aveva uno storico diverso. Sono arrivata qui in una classe di tutti bambini italiani, dove io ero quella diversa. L'adolescenza, sapendo di essere quella diversa, è difficile. È difficile perché cerchi di toglierti tutto quello che ti rende diverso, fondamentalmente. Quindi, a sti capelli gli ho fatto passare veramente l'ira di Dio poverini, ne ho persi un bel po' e adesso son tornati un po' decenti. Però, perché? Perché non avevo un modello di riferimento. Cioè, io non avevo nessuno da guardare. Io vedevo delle donne che erano completamente diverse da me e da quello che avrei mai potuto raggiungere, cioè io non posso cambiare il colore della mia pelle, non so se esistono operazioni per avere gli occhi azzurri, però, insomma, per fare quel tipo di cambiamento devo andare contro la mia natura. Quindi, il fatto di essere, adesso, di avere la responsabilità, in qualche modo, di essere il modello di riferimento delle ragazzine di oggi, mi rende molto felice però, come dicevamo ieri, io sono anche molto critica su questo argomento". "Cioè, che cos'è? Qual è l'elemento di criticità maggiore?". "L'elemento di criticità, secondo me, è che in realtà belle come Sky per esempio, dove io mi sono trovata, io sono stata grata a Lisa Nur Sultan di aver scritto il personaggio di Sofia in Call My Agent come l'ha scritto, perché non c'era lo stereotipo. Ma prima di arrivare a Call My Agent io ho fatto un sacco di provini anche proprio per delle pubblicità, per piazzare un prodotto, in cui io ero la checkbox, ero l'elemento di diversity. Quindi io incarnavo lo stereotipo". "Era quella spunta di cui parlava prima Francesca". "Quella spunta lì, quella diversa... E ti dirò di più, quello di cui parlavamo anche ieri, che ero la spunta che andava bene, perché poi io arrivavo al provino, e se una ragazza era più scura di me non la prendevano perché era più scura di me, io andavo bene perché rientravo comunque in un cerchio di accettazione generale, perché non è troppo scura, non provoca, i capelli ce l'ha, non è rasata, ok. Quindi io avevo ancora delle caratteristiche più simili all'eurocentrismo". "Cioè, diversa ma non troppo". "Diversa ma non troppo. E io più vedevo queste cose, più invece cercavo di sfidarle, fondamentalmente. Però ti dico anche che da parte del giovane c'è anche la volontà di farcela. Quindi io, davanti a un possibile lavoro, giovane com'ero, senza altre possibilità, dicevo di sì. Cioè, non è che dicevo di no per non portare avanti lo stereotipo, no? Ero in una condizione in cui non avevo potere contrattuale: cioè, contratto, soldi, ok, devo perché sennò non arrivo al punto in cui posso cambiare le cose. Quindi sono critica, sono contenta quando vedo delle situazioni che cercano di cambiare le cose, però per tante situazioni che cercano di cambiare le cose ce ne sono altrettante che sono ancora vecchie. Anzi, recentemente, non so se posso fare nomi di film o serie americane?". "Vai". "Te l'ho detto che io sono quella critica della situazione. No, qualche anno fa è uscito il terzo film di una serie che si chiama, è una trilogia, che si chiama Pitch Perfect, in cui ci sono queste ragazze che cantano queste ragazze all'università che cantano e c'è un personaggio che a me ha sempre disturbato, interpretato da Rebel Wilson che è un'attrice meravigliosa. Il suo personaggio si chiama Ciccia Amy. Io, quando ho guardato la versione italiana di questo film, ovviamente l'attrice è un'attrice in sovrappeso, e lei è stata chiamata, c'è un'intervista in cui lei parla e dice, mi hanno chiamato e mi hanno detto: tu devi essere la cicciona simpatica, senza mezzi termini. Perché? Perché c'era ancora quella voglia di giustificare un personaggio con una caratteristica più simpatica, no? È cicciona però almeno è simpatica. No. E Rebel Wilson, nella sua intervista, dice proprio: io ho sempre voluto fare dei ruoli più drammatici, più importanti, non potevo perché io ricadevo nello stereotipo, no? Quindi, come diceva lei, bisogna controllare che il ruolo che incarna la diversità non sia giustificato da qualcos'altro. Cioè se io sono nera, non sono solo nera, non sono simpatica perché sono nera". "Ci sono proprio degli stilemi narrativi che sono utilizzati in questo modo, sono quelli che vanno scardinati. Diversity Media Awards analizzano anche proprio l'aspetto fisico, è una categoria, è un tema di analisi che abbiamo inserito quest'anno, perché è un tema, oggi sta diventando un tema fortissimo, quindi tutto il tema della grassofobia...". "Alti, bassi, grassi, magri". "Tutto lo stereotipo che c'è dietro a questo, anche il non riuscire a trattare in maniera corretta queste tematiche, poi devo dire che il nuovo modo di riuscire ad andare ad abbattere i pregiudizi è guardare l'on-screen, quindi cosa viene rappresentato in maniera che le persone che guardino a casa possono sentirsi rappresentate, immaginare i propri sogni, ecco, quello. Ma tutta la parte di off-screen, quindi tutte le persone che lavorano all'interno, chi lavora, chi decide, sull'intrattenimento ma anche nell'informazione". "Tu dici come gruppo di lavoro?". "Tutto il lavoro, da chi scrive, chi decide chi comunica, chi decide nei programmi tv chi sarà... Semplicemente la struttura. Addirittura le maestranze, cioè le persone che lavorano in una produzione, se sono tutte le stesse persone, tutte uguali, tutte simili, e non si riesce a fare un lavoro di accessibilità, cioè di aprire questo mondo del lavoro a tutto il resto delle rappresentazioni che ci sono, è logico che tu stai tenendo ancora un'immagine aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa è logico che tu stai tenendo ancora un'immagine stereotipata, anche nel momento in cui costruisci un prodotto". "Sonia, come si fa a, intanto stiamo esaurendo il tempo e lo dico a tutti e tre, anzi a tutti e quattro. Come si fa a garantire questo genere di attenzioni, fondamentali, oggi sempre più importanti perché, abbiamo capito che il pubblico presta molta attenzione a queste cose, con la libertà che il creativo comunque deve avere, ché questo è un tema. Perché nella vita normale, magari, la battutina ti scappa". "Assolutamente, ma infatti qui è stata bravissima, come Kaze ha detto, Lisa, nel suo personaggio, ha toccato un tema molto difficile, veramente molto, insomma, spinoso. Ma l'ha toccato con quell'ironia, per cui si può anche ridere di questi temi e non bisogna sempre soltanto pensare se faccio la battuta la faccio male, allora a questo punto divento attaccabile. Ma ha saputo costruire un racconto che ha giustificato l'ironia sul tema. Quindi il punto è sempre, per quello quando dicevamo all'inizio la scrittura, gli scrittori sono i primi che gettano proprio le basi della, diciamo, di quello che poi verrà. Poi arrivano i registi, nel mio caso specifico, facendo non intrattenimento, diciamo, di format ma di serialità, e quindi poi sono loro che devono ulteriormente, nel caso, per dire, di Django c'era Francesca Comencini, che è assolutamente molto interessata all'argomento, quindi è un lavoro di squadra che poi viene, appunto, da tutte le maestranze, da scenografia, costumi nei piccoli dettagli alla fine ci sta l'attenzione affinché diventi automatico e naturale l'inserimento, e non diventi il devo giustificare il diverso. Quindi è un punto di partenza, per quello io veramente sottolineo l'importanza della formazione, perché è quella che inizialmente mancava e che quindi si pensava, ci siam viste la prima volta, era al secondo anno del Diversity appunto, ricordavamo, quando era candidata a Gomorra, alla seconda stagione, e erano gli inizi e nessuno ne sapeva nulla, ci siamo dette quanti passi sono stati fatti da allora? Quanto si va avanti? Eppure nonostante quello, serve ancora formare, ed è il motivo per cui noi ci siamo costruiti una formazione autogestita in-house, ma perché? Perché poi siamo i primi che, nel caso di Sky, vogliamo supervisionare e supportare, dove serve, anche il produttore, perché magari abbiamo degli insight più approfonditi grazie a quest'attività, grazie al fatto che Sky ha posto sempre molta attenzione all'argomento, al rapporto con Francesca, e quindi trovare anche, se questo è il problema, come lo risolvo? Quello che stiamo facendo è proprio un workshop di, fatta la domanda e le difficoltà, qual è la soluzione?". "Kaze, adesso, io parlo, veramente pochi secondi, tu hai 26 anni, hai visto che qui il discorso è di quelli che dice, vabbè qui dobbiamo stare attenti a questo, a quest'altro, dobbiamo salvaguardare la libertà espressiva però dobbiamo anche salvaguardare il racconto variegato del mondo. Guardando ai tuoi coetanei e magari anche a quelli che hanno meno della tua età, secondo te si va in una direzione in cui tutto questo non servirà più?". "Sì, secondo me sì, soprattutto non tanto la mia età ma quelli più piccoli di me, la Gen Z, la magica Gen Z che amiamo. Secondo me loro hanno tanta voglia di verità, e sono anche impertinenti, mi piacciono molto perché loro vogliono la verità a tutti i costi, quindi, confido in loro, che sicuramente hanno modelli migliori di quelli che ho avuto io, anche se la differenza è poca. E niente, io sono contenta di poter dare il contributo finché posso, e di lavorare con persone che mi permettono di farlo. Quindi speriamo bene insomma". "Francesca, è il tuo momento, vai con lo spot". "Diversity Media Awards, votate perché è la fase del voto. Il 21 ci saranno i premi, quindi chi vuole venire a Milano...". "Ma come devono fare?". "Devono andare sul sito diversitymediaawards.com, e lì possono votare. Non so se c'è il video di un minuto, dove si vedono proprio, veloci veloci, tutte le nominations. Però lo scopo qui è esprimere la volontà di rendere una società più inclusiva. Soprattutto spingere i media a farlo, perché guardate che, siamo noi che poi facciamo in modo che loro riescano a rendere...". "Con le scelte, guardo o non guardo, con i commenti che si fanno sui social". "Esattamente, è una conseguenza, quindi andate a vedere, ci teniamo moltissimo". "Allora votate, e poi la premiazione...". "Il 21 giugno a Milano al Teatro Lirico Gaber". "Bene". "Grazie". "Grazie a tutti, grazie a voi".

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