Una ferocia barbara, disumana, spietata. Così, il vescovo di Anagni-Alatri, monsignor Lorenzo Loppa, ha definito l’incredibile violenza scaricata su Emanuele Morganti, una settimana fa. “Tra i punti di riferimento – ha aggiunto – abbiamo smarrito il bene comune e la dignità umana. Una crisi di civiltà, innanzitutto, oltre che morale e spirituale. Compito di tutti noi, fare di più per questi ragazzi. Compito di tutti noi, adesso, trasformare l’odio in misericordia, scegliere la non violenza come stile di vita”. Gremita la chiesa di Maria Santissima Regina a Tecchiena, la frazione di Alatri dove Emanuele viveva. In tanti non sono riusciti ad entrare, ma in migliaia hanno voluto essere qui per dirgli addio. E lo hanno fatto con compostezza, dignità e in silenzio. Nessuna tensione, nessuno scontro, pure temuto, ma solo dolore e ancora incredulità. La madre di Emanuele, Lucia, ha preso la parola, al termine della funzione, per ringraziare tutti per le preghiere, per il sostegno, per ogni lacrima. Poi, i carabinieri fanno largo. Il feretro lascia la chiesa tra gli applausi. Dietro, a un passo, la madre, il papà, la sorella; gli amici lo portano in spalla. Ora, davanti alla chiesa restano solo gli striscioni, i ricordi, la richiesta di giustizia. Tante, troppe domande senza risposta, e il sorriso di Emanuele. In Procura, a Frosinone, si continua a lavorare per chiarire una vicenda che dal punto di vista delle indagini sembra complicarsi. Secondo i primi risultati dell’autopsia, il colpo che ha finito Emanuele, massacrato dal branco, sarebbe stato sferrato con un’arma impropria, che non è tra quelle in possesso degli inquirenti. Soltanto trovandola, dalle impronte, sarà possibile capire chi la impugnava. In carcere, per ora, restano Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, accusati di omicidio volontario aggravato dai futili motivi.