Prima la protesta all'interno di quella che viene considerata dai suoi stessi ospiti una prigione che nega anche i più elementari diritti, quindi la marcia simbolica, e questa volta senza rabbia verso la città. È la morte di un migrante finito in ospedale dopo aver tentato il suicidio a riaccendere gli animi all'interno del Cara di Bari, uno dei centri di accoglienza più vecchi e soprattutto più affollati d'Italia. Qui di recente, sono finiti anche i 12 migranti trasferiti dall'Albania. "Non si sa quante persone sono lì, non si sa. Ma per capire la situazione, bisogna vedere che in un container vivono 10 persone, invece che quattro di norma. Io proverei a stare con quattro letti in un container, ma sono 10". Afana è un sindacalista e ha potuto spiegare al vice prefetto quel che secondo i migranti manca all'interno del Cara, lamentando non solo la scarsa attenzione per la salute, ma più in generale, il venir meno dei principali diritti. "I diritti non sono solo il permesso di soggiorno, i diritti sono i servizi. Lasciamo la parola diritti e parliamo di servizi. Io dico sempre: smettiamo con la retorica dei diritti, non significa nulla. I servizi. Quali sono i diritti dei servizi? Poter andare al lavoro, poter essere curato, essere trattato dignitosamente". L'incontro in Prefettura ha placato per ora gli animi ma il Cara del capoluogo pugliese resta una polveriera pronta ad esplodere alla minima scintilla.